OCCULTATION "Silence in the Ancestral House"
(2014)
E' un viaggio a ritroso nel tempo quello che ci fanno compiere gli americani Occultation. Sono infatti dediti ad una delle forme di metal allo stesso tempo più antiche e più oscure: l'heavy doom. Per essere precisi, quello che ci offrono è un incrocio tra pura NWOBHM e doom sabbathiano, quello stesso genere che è stato suonato da gente come Witchfinder General e Pagan Altar, tanto per citarne alcuni.
Ciò significa che la velocità di esecuzione non è mai particolarmente elevata, si va dal lento caracollare al tempo medio, e l'esigenza di tenere desto l'ascoltatore viene perfettamente soddisfatta da una rara maestria – figlia degli anni settanta – nel curare degli arrangiamenti davvero densi e dinamici, in cui basso, chitarra e batteria non si fossilizzano su di una unica soluzione esecutiva, interpretando, e non solo eseguendo, i propri brani. La produzione, opaca e distante nel tempo, si adatta perfettamente alla materia ricreando, specie nelle linee vocali, quell'effetto arcano che ha caratterizzato i primi lavori dei Mercyful Fate.
Tutto bello, quindi? Non proprio, perché con il progredire dell'ascolto ci si rende conto che la loro miscela, per quanto azzeccata e formalmente completa, tende ad essere un po' troppo ripetitiva, anche a causa di un approccio vocale non propriamente multiforme.
E' quindi un lavoro che ha davvero tanto da insegnare in un panorama dominato da una certa freddezza di scrittura e produzione, ma in cui l'estro strumentale supera e sovrasta il puro intuito compositivo.
Ciò significa che la velocità di esecuzione non è mai particolarmente elevata, si va dal lento caracollare al tempo medio, e l'esigenza di tenere desto l'ascoltatore viene perfettamente soddisfatta da una rara maestria – figlia degli anni settanta – nel curare degli arrangiamenti davvero densi e dinamici, in cui basso, chitarra e batteria non si fossilizzano su di una unica soluzione esecutiva, interpretando, e non solo eseguendo, i propri brani. La produzione, opaca e distante nel tempo, si adatta perfettamente alla materia ricreando, specie nelle linee vocali, quell'effetto arcano che ha caratterizzato i primi lavori dei Mercyful Fate.
Tutto bello, quindi? Non proprio, perché con il progredire dell'ascolto ci si rende conto che la loro miscela, per quanto azzeccata e formalmente completa, tende ad essere un po' troppo ripetitiva, anche a causa di un approccio vocale non propriamente multiforme.
E' quindi un lavoro che ha davvero tanto da insegnare in un panorama dominato da una certa freddezza di scrittura e produzione, ma in cui l'estro strumentale supera e sovrasta il puro intuito compositivo.
Recensione di: Fulvio Ermete
VOTO: 71/100
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