CELTIC FROST "Morbid Tales" (Recensione)
(1984)
Con quel grado di conservatorismo che è comune a molti amanti dell'hard'n'heavy, ho sempre subito il fascino particolare dei debut album. “Kill 'em All”, “Black Sabbath”, “Fistful of Metal”, lo stesso “Saxon”... qualche volta mi sono persino spinto a dichiararli i “dischi migliori” delle band in questione, anche se poi la cosiddetta maturità (dell'ascoltatore o della band, fate voi) interviene a far notare che i progetti più longevi e destinati a lasciare il segno hanno nel terzo o quarto album (o addirittura quinto, nel caso di Iommi e soci) un perno fondamentale per comprenderne l'evoluzione e decretarne il compimento stilistico. Date le premesse, “Morbid Tales” non sfugge a questo ragionamento e - se non ho mai avuto dubbi sul podio da assegnare a “Into The Pandemonium” quando si parla di Tom G. Warrior e soci – va detto che il debut degli svizzeri resta uno dei loro dischi che ascolto di più. Assieme al capolavoro del 1987 e a “Cold Lake”... sì, avete capito bene. Nessuno mette in dubbio l'assoluto valore di “To Mega Therion”, ma anche gli chef stellati hanno voglia di un uovo al tegamino, se mi passate la metafora un po' ardita e apparentemente autocelebrativa. È chiaro che si tratta di un album decisamente diretto rispetto alle riflessioni assiro/babilonesi degli immediati successori, ma è anche vero che “Morbid Tales” contiene dei pezzi talmente mitici che a molte altre band sarebbero bastati per autocrogiolarsi nello status di “arrivate”.
E invece no, nonostante il Ghiaccio Celtico vantasse al suo arco frecce come l'iconoclasta “Into the Crypts of Rays” e la speculare “Nocturnal Fear”, la sulfurea e avanti anni luce “Dethroned Emperor” e il capolavoro assoluto “Procreation (of the Wicked)”, Warrior e Ain non si sono fermati lì, declinando in ancora nuove sfaccettature la loro personalissima visione del metal. Che non è mai stata quella degli emulatori, quanto quella di chi traccia il solco, in attesa che schiere di imitatori ne traggano beneficio. Per la verità, Herr Fischer non farà mai mistero di non sopportare molte delle ramificazioni che si sono richiamate alla sua creatura, ma ciò non ne intacca l'afflato creativo. Le “cose curiose” relative a “Morbid Tales” meritano comunque una menzione: la band è la stessa dell'ultimissima incarnazione dei seminali Hellhammer, per quanto Stephen Priestly venisse definito un “turnista” e poco più; spulciando in un archivio di vecchie interviste in occasione dell'uscita della raccolta onnicomprensiva “Danse Macabre”, lessi che Warrior si sarebbe lamentato del fatto che il batterista “preferiva accompagnare la mamma a fare la spesa anziché pensare seriamente alla trasferta berlinese per registrare l'album”. Storie di adolescenti, certo: è pur vero che – archiviata la stagione con l'americano Reed St. Mark che per chiunque è “il” batterista dei Celtic Frost – ritroveremo Priestly per almeno altri due dischi a partire dalla fine del decennio.
Originariamente, poi, la release era stata concepita come un mini LP con due tracce in meno: fuori la magnifica “Dethroned Emperor”, fuori addirittura la title track. Sarà con l'edizione americana che “Morbid Tales” acquisirà lo status di LP, con otto tracce in totale. Una menzione poi meritano gli “intermezzi”: con le ristampe successive abbiamo appreso che l'intro con le voci da bolgia infernale si chiama “Human” proprio come quella specie di rap che apre l'odiatissimo (da Warrior!) “Cold Lake”; va poi detto che – nomi a parte – gli Entombed non si sarebbero fatti scrupoli di riutilizzarlo pari pari, per il quasi altrettanto magnifico debut “Left Hand Path”. E di “Danse Macabre”, che diciamo? Se è vero che i giornalisti di settore non tenevano in grande simpatia i Nostri, qui avevano proprio ragione: mi sarei aspettato una citazione di Camille Saint-Saëns e invece l'idea di “macabro” qui viene dall'uso di effetti dozzinali, un filone che sicuramente conoscerà maggior fortuna nei dischi successivi.
Infine, non so come la vedete voi ma per me i Sepultura del periodo 1987-1996 sono stati (tra le altre cose) una delle cover band più formidabili in circolazione, forse secondi solo ai Metallica, non solo come resa dei pezzi ma anche come scelta diciamo così... “divulgativa”. Ecco, la loro “Procreation (of the Wicked)” non fa eccezione, e chissà che qualcuno non abbia scoperto i Celtic Frost grazie a quella B side di “Roots Bloody Roots”, esattamente come qualcun altro avrà fatto con la versione di “Circle of the Tyrants” firmata dagli Obituary su “Cause of Death”...
Recensione a cura di Francesco “schwarzfranz” Faniello
Voto: 85/100
Tracklist:
1. Into the Crypts of Rays
2. Visions of Mortality
3. Procreation (of the Wicked)
4. Return to the Eve
5. Danse Macabre
6. Nocturnal Fear
Line-up:
Tom Warrior - Vocals (lead), Songwriting, Lyrics, Guitars, Effects
Martin Ain - Bass, Lyrics
Web:
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