LENG TCH’E "Razorgrind" (Recensione)
Season Of Mist
(2017)
Devo dire che recensire questo disco è stato un po' una sofferenza. Non che sia mai stato il primo fan al mondo dei Leng Tch'e (nome di una famosa tortura cinese, la morte dai mille tagli), ma da questo ritorno sulla lunga distanza (sono passati dieci anni dal precedente “Hypomanic”) mi aspettavo qualcosa di più. La band belga è alfiera di un grind/death abbastanza canonico anche nella sua eterodossia: la base di partenza è chiaramente quella fissata a suo tempo da filibustieri anzitempo come Napalm Death ed Extreme Noise Terror, ma attualizzata da sonorità più moderne sia nella produzione (che è pulita e potente) sia nel riffing.
Devo dire che recensire questo disco è stato un po' una sofferenza. Non che sia mai stato il primo fan al mondo dei Leng Tch'e (nome di una famosa tortura cinese, la morte dai mille tagli), ma da questo ritorno sulla lunga distanza (sono passati dieci anni dal precedente “Hypomanic”) mi aspettavo qualcosa di più. La band belga è alfiera di un grind/death abbastanza canonico anche nella sua eterodossia: la base di partenza è chiaramente quella fissata a suo tempo da filibustieri anzitempo come Napalm Death ed Extreme Noise Terror, ma attualizzata da sonorità più moderne sia nella produzione (che è pulita e potente) sia nel riffing.
Infatti i Leng Tch'e, che rimangono comunque molto duri e pesanti, fanno un frequente ricorso a riff groove e tempi medi, che nel corso degli anni sono un po' diventati il loro marchio di fabbrica. Ma anche in questo, dicevamo, non risultano particolarmente originali: non c'è niente che i Napalm Death non abbiano già provato a metà carriera, persino l'uso – sporadico, per carità – di linee vocali, se non proprio melodiche, quantomeno pulite.
Anche se il difetto principale di “Razorgrind” va ricercato nel songwriting puro e semplice: l'album non è brutto, ma non si slancia mai del tutto; mancano i passaggi che ti rapiscono al primo ascolto e non ti lasciano più, il coinvolgimento emotivo a livello cerebrale, tutto scorre via in maniera perfetta e pulita e l'ascolto, che sembra iniziare sotto i migliori auspici, termina un po' nella noia. E se l'originalità non è certo un obbligo, per me non è un caso che uno dei pochi momenti memorabili consiste nell'inusuale organo in “Guinea Swine”.
Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 66/100
Tracklist:
1. Gundog Allegiance 01:26
2. Indomitable 01:29
3. Cibus 01:29
4. Spore 02:20
5. AnarChristic 01:08
6. Stentor of Doom 01:56
7. Redundant 02:48
8. Commitment Fail 02:19
9. The Red Pill 03:03
2. Indomitable 01:29
3. Cibus 01:29
4. Spore 02:20
5. AnarChristic 01:08
6. Stentor of Doom 01:56
7. Redundant 02:48
8. Commitment Fail 02:19
9. The Red Pill 03:03
10. Species. Path. Extinction. 02:53
11. Guinea Swine 03:24 12. Cirrhosis 02:35
13. I Am the Vulture 02:58
14. Magellanic Shrine
13. I Am the Vulture 02:58
14. Magellanic Shrine
DURATA TOTALE: 36:25
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