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QUEENSRŸCHE "The Verdict" (Recensione)


Full-length, Century Media Records 
(2019) 

Ci vorrebbero fiumi di inchiostro per recensire adeguatamente questo “The Verdict", ultima fatica dei Queensrÿche, uno dei gruppi più importanti dell'intera storia dell'heavy metal, autori di almeno un paio di pietre miliari e di altrettanti capolavori, nonché protagonisti di una delle separazioni dal cantante originale più cruente che si ricordino. Per questo motivo darò per scontate un sacco di cose e cercherò di concentrarmi solo sulla qualità e la ragione di quest'ultimo lavoro.

Innanzitutto, rimanendo in tema, vi sono ulteriori novità in formazione, poiché Todd La Torre, alla terza prova come cantante del leggendario gruppo di Seattle, sostituisce pure Scott Rockenfield dietro le pelli; questo risulta possibile unicamente perché – come alcuni già sapranno - La Torre nasce come batterista, e infatti la sua prestazione è quasi ineccepibile, pur non potendo, per ovvi motivi, sopperire alla mancanza di un fuoriclasse come il buon vecchio Scott – che pare voglia dedicarsi alla famiglia. Per il resto, tutto normale: al basso l'intramontabile Eddie Jackson e, ad affiancare capitan Michael Wilton alle chitarre, nel posto che fu del genio assoluto Chris DeGarmo, c'è ancora il giovane Parker Lundgren.
Si parte con tre hit di qualità crescente, “Blood Of The Levant", “Man The Machine" e “Light-years", ed è subito evidente che, rispetto ai precedenti, buoni, “Queensrÿche” e “Condition Hüman" c'è voglia di aggiungere groove e incisività, come se - una volta pagato finalmente il tributo alla prima fase della loro carriera - questi nuovi Queensrÿche volessero ora spiccare il volo, fare il passo decisivo, quello di ripartire dall'ultimo grande lavoro con Goeff Tate, parlo di “Promise Land", e guardare avanti, al 2019 e oltre, e cercare un'evoluzione alternativa a quella, sostanzialmente inconcludente, fortemente voluta dall'ex frontman. Non ci sono modifiche radicali rispetto ai precedenti lavori, sia chiaro, ma è come se la smania di suonare i vecchi Queensrÿche, quelli più classicamente metal, quelli che Goeff Tate non voleva fare, per intenderci, fosse ora stemperata, lasciando il posto a una maggior consapevolezza dei propri mezzi e di ciò che il pubblico si aspetta da questo inossidabile gruppo. Tutto ciò si concretizza in un modo di comporre, arrangiare e registrare figlio di “Operation: Mindcrime”, “Empire" e “Promised Land", più qualche cosa degli anni Duemila e la voglia di non mollare la presa. Il know how, la capacità di farlo, è saldamente presente in seno al gruppo, sia nei membri storici Wilton e Jackson, che più invecchiano più migliorano, sia – più inaspettatamente – nei “nuovi” La Torre e Lundgren, il primo a suo agio nel doppio ruolo di cantante e batterista, il secondo capace di sfornare tutto da solo un pezzo come “Dark Reverie" che sembra uscito dal versante più oscuro di “Promised Land” e può addirittura mostrare ai compagni di viaggio cosa possono e devono essere questi Queensrÿche nell'immediato futuro.

Tra le tre hit citate sopra e quest'ultima, abbiamo la sinuosa “Inside Out” e “Propaganda Fashion" dal forte gusto “Operation: Mindcrime". Si prosegue con la complessa “Bent", che è un altro centro, poi con la più agile “Inner Unrest", mentre il disco si chiude su toni prog anni Novanta con “Lauder Than Conscience" e la soffusa “The Portrait". Il limiti di questo “The Verdict” vanno ricercati nell'ovvio: non c'è Scott Rockenfield, non c'è Chris DeGarmo e non c'è il Goeff Tate dei tempi d'oro: tre musicisti straordinari, capaci di apporre la propria firma su pezzi leggendari, che non verranno più ed è inutile continuare a prendere come metro di paragone. La Torre, soprattutto come cantante, è veramente bravissimo, certo gli mancano la poetica e l'espressività di Tate, ma veramente è lecito aspettarsi ciò? Lundgren non è DeGarmo, ma come potrebbe esserlo? Anzi, considerata la giovane età (La Torre è più vicino anagraficamente ai membri originali che non a lui) non si può che gioire della sua bravura e fargli i complimenti. Che da parte mia vanno estesi a tutti quanti i Queensrÿche per questo disco, con menzione finale all'eroe assoluto che è Eddie Jackson: veramente da spellarsi le mani dagli applausi!

Chi ha avuto già la fortuna di vederli live sa che in quel contesto questa band funziona ancora meglio; quindi mi auguro di rivederli al più presto, e magari da headliner, al posto di qualche rudere - ché se lo meritano. Come meritano di recuperare tutti gli anni passati da scialbo gruppo di ex glorie. 

Recensione a cura di Alessandro Attori
Voto: 80/100

Tracklist:

1. Blood of the Levant 03:27
2. Man the Machine 03:50
3. Light-Years 04:08
4. Inside Out 04:31
5. Propaganda Fashion 03:36
6. Dark Reverie 04:23
7. Bent 05:58
8. Inner Unrest 03:50
9. Launder the Conscience 05:15
10. Portrait 05:16

DURATA TOTALE: 44:14

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