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MOTÖRHEAD - On Parole (Recensione)


Full-length, United Artists Records
(1979) 

Eh sì... quando parte la fissa Motorhead è dura da controbattere o silenziare, specie considerando che si tratta di una delle realtà più importanti dell'universo del rock'n'roll a partire dagli anni '70. Si badi bene, ho scritto “rock'n'roll” e non altro proprio in virtù del fatto che Lemmy aveva sempre dichiarato la sua aderenza alla purezza del genere, mostrando di non gradire affatto le etichette che – vuoi o non cuoi – erano state di volta in volta appioppate alla sua band nel corso dei decenni. Nonostante ciò, l'influenza di Ian Fraser Kilmister e soci sul mondo metal, punk, garage e più in generale sul rock'n'roll delle generazioni a venire è indiscutibile, anche al netto dei vari periodi attraversati dalla band: più stradaiola all'epoca del trio storico (Lemmy / Fast / Phil Taylor), flirtante con l'hard'n'heavy con la formazione a quattro, e dedita a sonorità ancora più heavy con l'innesto di Mikkey Dee negli anni '90. Certo, con gli anni a venire il blues e il r'n'r non hanno mai smesso di essere parte integrante dell'ossatura della band, ma il suono si era ormai adeguato a determinati standard, tanto da rendere difficile non accostare i Motorhead al variegato universo metal e hard rock. 

Dunque, per trovare il suono originario dobbiamo scavare, scavare... è il caso di dirlo, negli archivi della United Artists, la label che per prima decise di “investire” su Lemmy, all'epoca da poco scaricato dagli Hawkwind e desideroso di metter su una band veloce e diretta, sullo stile degli MC5. Eccolo dunque insieme ai suoi nuovi compagni di avventura, Larry Wallis dei Pink Fairies alla chitarra e voce (sua la voce solista su “Vibrator” e “Fools”) e Lucas Fox alla batteria, per una formazione che ebbe vita breve: una manciata di concerti, e per le session di registrazione del 1975 Fox venne sostituito da Phil Taylor, l'autista (!) della band che ebbe anche il compito di sovraincidere tutte le parti di batteria del predecessore, salvo “Lost Johnny”, che resta dunque l'unica testimonianza ufficiale di Fox nella band oltre ai demo precedentemente realizzati – le cronache peraltro riferiscono che Taylor non riuscì a completare il brano perché arrestato per ubriachezza molesta proprio poco prima dell'ultimissima session per il disco! 

In tutto ciò, la prestigiosa label non capì il potenziale del materiale che aveva tra le mani, e decise di congelare l'album fino a nuovo ordine. Ordine che arrivò evidentemente quando i Motorhead (ormai accasatisi con la Bronze) conobbero il successo vero nel 1979, con la coppia d'assi “Overkill” / “Bomber”: nello stesso anno dunque, a quattro anni di distanza da quelle session originarie, la label americana le pubblicò dunque con il nome di “On Parole”, ed eccola tra le nostre mani! Il fatto che i Motorhead avessero praticamente ri-registrato una buona parte dell'album per il debut “ufficiale” lo sanno anche i sassi, e per lungo tempo ho guardato con un sorriso benevolo a quelle registrazioni iniziali. 

Tuttavia, si sa che il tempo è lusinghiero, perciò... invito decisamente chi non lo conoscesse a riscoprire “On Parole”, andando oltre il classico ostacolo rappresentato dalla versione ultra-rallentata di “Iron Horse / Born to Lose” o di “Motorhead”: sono proprio quelli gli episodi che meglio marcano il passaggio dal sound psichedelico degli Hawkwind a qualcosa di completamente nuovo, in grado di far tesoro di quell'eredità e reinvestirla in un panorama musicale nuovo, contemporaneamente ai primi vagiti del punk. È proprio questo il motivo per cui i Motorhead hanno sempre goduto del massimo rispetto da parte di entrambe le “parrocchie”, avendone anticipato e capitalizzato buona parte delle soluzioni, con un occhio particolare per quelle più stradaiole e rozze – come è giusto che sia. Il resto lo fanno le fresche evoluzioni r'n'r della title track (poi ripresa da Wallis nella sua carriera successiva), la secca e diretta “City Kids”, l'ondeggiante e “surfeggiante” “The Watcher” (che cita quella “funny farm” che ritroveremo in seguito!), e la rivisitazione del classico della Motown “Leaving Here”, che trova nell'uso delle doppie voci il link perfetto con l'originale. Suadente e roboante al contempo: ecco come suona “Leaving Here”, ecco come suona l'intero “On Parole”, in attesa dei fasti che verranno... 

Recensione a cura di Francesco “schwarzfranz” Faniello 
Voto: 75/100 

Tracklist: 
1. Motörhead (Hawkwind cover)
2. On Parole
3. Vibrator
4. Iron Horse / Born to Lose
5. City Kids (Pink Fairies cover)
6. Fools
7. The Watcher (Hawkwind cover)
8. Leaving Here (Eddie Holland cover)
9. Lost Johnny (Hawkwind cover)

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