Vuoi qui il tuo annuncio? Scrivi a: hmmzine@libero.it

DEATHCVLT "Deathcvlt" (Recensione)


Full-length, My Kingdom Music 
(2021) 

La tradizione death metal svedese della vecchia scuola ha segnato un'intera scena musicale per gran parte degli anni Novanta, allo stesso modo di quella black metal norvegese, influenzando in modo più o meno diretto una quantità pressochè infinita di band sparse per il mondo al punto di lasciare ancora oggi degli strascichi che ne tengono viva e quasi inalterata la diabolica fiamma. È il caso dei marchigiani Deathcvult, ultima espressione musicale della creatività del frontman degli Infernal Angels, dei Byblis ed ex-Lilyum XeS, che si è avvalso della collaborazione del chitarrista e bassista Ulag degli Osseltion e del batterista Bestia degli Absentia Lunae e dei Prison of Mirrors, a completare un trio dai chiari sapori occulti che unisce la ferocia dello swedish death metal al black metal melodico, proponendo una forma di blackened death che si ispira molto ai classici old-school reinventandosi in una chiave meno sporca e più diretta, affatto scevra di armonie definite che rimandano a formazioni quali At the Gates e Unleashed. 

La band di Ancona si è da poco presentata all'interno del panorama underground nostrano con l'omonimo album di debutto "Deathcvlt", opera schietta e carica di violenza infernale in otto tracce di medio-lunga durata, per un totale di quarantadue minuti di una malvagità carica di esoterismo e di mitologia, che traspaiono sin dall'artwork, che rievoca inesorabilmente il simbolismo della religione induista nei suoi aspetti più oscuri e macabri. Il lavoro si apre con la ferocia della title-track, un concentrato di death/thrash tecnico old-school su cui si erge il growl cavernoso di XeS e in cui graffiano le oscure chitarre di Ulag, poi brillantemente adoperate nell'esecuzione di un assolo disturbante e sinistro, prima del blast-beat di Bestia che spalanca le porte alla malvagità del blackened death; un riff melodico anticipa la ripresa finale, un crescendo epico e travolgente fino all'accelerazione serrata conclusiva, attraverso melodie oscure e maestose. 

I ritmi si smorzano leggermente con la successiva "Santa Muerte", ispirata all'omonima divinità messicana pre-colombiana, scheletrica Signora dell'oltretomba e portatrice della morte nata come manifestazione della dea azteca Mictecacihuatl; il brano è un lungo alternarsi di mid-tempo dai sapori technical death metal, furiose accelerazioni di matrice blackened death e passaggi lenti e oppressivi, fino all'assolo melodico in crescendo che anticipa una serie di riff affilati da parte di Ulag, oscuri come una notte senza luna. "Inanis" (dal latino, col significato di "vuoto") rivela ancor più l'abilità tecnica del terzetto e la sua varietà compositiva, aprendosi con una introduzione acustica che si evolve in un riff dai richiami heavy, per poi procedere con ritmiche lente e oscure fino alla ferocia del death/black metal; la batteria di Bestia procede a ritmiche forsennate, il riffing di Ulag si fa serrato e tagliente e l'abissale growl di XeS riecheggia in un vortice di orrore, fino ad un passaggio thrash/death in mid-tempo che anticipa l'aggressività del finale. "Dust of Sacral Soul" riprende le tematiche occulte, qui espresse dalla Madre Nera Kali-Ma, terrificante e aggressiva divinità femminile della religione induista nonchè sposa di Shiva; un riff lento e sinistro schiude il brano, di chiara ispirazione swedish, un martellante thrash/death metal old-school alla Entombed molto tecnico e melodico, con tanto di passaggi death/doom e armonie di chitarra tetre e agghiaccianti. La breve e decisa "The Sign of Death" attinge invece all'islamismo e alla sua malvagia divinità Malak al-mawt (anche come conosciuta come Azrael), arcangelo incaricato da Allah di portare gli uomini verso la morte; il brano è il più diretto dell'intero lavoro, guidato dal riffing gelido e serrato di Ulag, di matrice black e dalla ferocia della batteria di Bestia, prima di una seconda parte death/doom dai richiami occulti e dai lugubri passaggi acustici, a rendere l'atmosfera funebre e oppressiva, espressione ancor più marcata di un male ancestrale senza tempo.

Il lavoro si chiude con la lenta "Blackned Kiss", un crescendo cupo e sinistro dal riffing oscuro e avvolgente alla furia di un blackened death tecnico perfettamente eseguito. I Deathcvult si presentano così sulla scena underground italiana, con un album che attinge molto da una tipologia di metal estremo della vecchia guardia sicuramente già sentito e troppo spesso abusato, a cui però riesce ad accompagnare le atmosfere tetre del death/doom e la freddezza del black, in una chiave melodica ben definita ed efficacie. Da un punto di vista compositivo il lavoro non presenta nulla di eccezionale, e forse a mancare è proprio quel tocco epico che si percepisce soltanto sul finire della prima traccia, adagiandosi per il resto del tempo su strutture melodiche non certo innovative; spiccano i passaggi acustici, seppur rari, e le armonie melodiche riescono ad unire il tutto in una ricetta più che buona, a cui però manca il coraggio di osare e di creare le atmosfere claustrofobiche che le liriche dell'album meriterebbero. Parliamo comunque di un debutto e pertanto di un sound ancora assolutamente migliorabile e in cerca di una propria identità, ma la band senza dubbio funziona e la ricetta musicale qui proposta ha tutte la carte in regola per sorprendere ed entusiasmare in un prossimo futuro, proseguendo la spirale di esoterica malvagità e di eterna dannazione a cui del resto ha appena dato inizio. 

Alessandro Pineschi
Voto: 75/100

Tracklist:
1. Deathcvlt 
2. Santa Muerte 
3. Eternal Darkness 
4. Inanis 
5. Dust of Sacral Soul (Dark Mother Kali-Ma) 
6. The Sign of Death (Malak Al-Mawlt) 
7. Damnation and Suffering 
8. Blackned Kiss

Line-up:
Bestia: Drums
Ulag: Guitars, Bass
XeS: Vocals

Web:
Bandcamp
Facebook

Nessun commento