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NECROART “The Highest Law” (Recensione)


Full-length, Nova Era Records 
(2023)

Era l’estate del 1999 quando dalle ceneri della band black/thrash metal Castle Kadath nascevano i Necroart, formazione originaria di Cava Manara, nel pavese, dedita inizialmente a un melodic death metal incentrato sul tema del suicidio che ebbe fin da subito un ottimo riscontro: le prime demo pubblicate nei primi anni del Duemila furono ben accolte da pubblico e critica e permisero al quintetto di aprire a colossi quali Dark Funeral, Entombed e Rotting Christ. Dopo il debut album “The Opium Visions”, eccellente esempio di progressive/melodic death metal dai richiami sinfonici, i Necroart hanno intrapreso un percorso evolutivo costante alla ricerca di un sound sempre più personale e definito attraverso black, death e doom, di cui l’ultimo lavoro appena rilasciato, dal titolo “The Highest Law”, rappresenta un nuovo sorprendente livello di stile e di qualità.

“The Highest Law” è il quinto album in studio dei Necroart, uscito a fine maggio sotto l’etichetta Nova Era Records: arriva a cinque anni di distanza dal suo predecessore ”Caino”, lavoro dalla forte essenza post-doom metal, e si compone di otto tracce comprensive di intro, midtro ed outro per un totale di circa trentanove minuti di durata. La formazione vede Davide Zampa e Filippo Galbusera alle chitarre, Massimo Finotello alla voce, Francesco Volpino al basso, Davide Quaroni alle tastiere e l’ex-Dark Lunacy ed ex-Mortuary Drape Marco Blinda alla batteria: Il lavoro si sviluppa nelle atmosfere claustrofobiche e oscure a cui la band pavese da tempo ha abituato i propri ascoltatori, proponendo una sorta di post-metal atmosferico sempre più lontano dal blackened death degli esordi e governato da un ritmo lento e oppressivo, da tastiere sognanti e da una varietà canora tra il disperato e il sofferto, a creare una ricetta sonora di grande intensità emotiva e di grande impatto.

“The Highest Law”, si apre con la tragicità dell’introduzione acustica “Inhale”, per poi mostrare la sua aura tenebrosa con lo slow-tempo atmosferico e il riffing freddo di “Son of Worms”, a metà tra death, doom e black metal: l’accelerazione centrale, l’unica dell’intero lavoro, ritrova la ferocia delle origini grazie alla batteria decisa di Blinda e al cantato rabbioso e malato di Finotello, prima di adagiarsi in una seconda parte dominata dalle tastiere di Quaroni, lugubri e malinconiche, con tratti epici e melodici. “Still Dying God” si schiude con un arpeggio post-rock e con la voce sussurrata del vocalist, interrotti da un refrain tragico e di grande atmosfera: degno di nota è l’assolo melodico centrale, accompagnato da maestose tastiere e da un cantato in clean vocals sofferto, che si apre a un passaggio acustico molto delicato e struggente. La title-track è l’episodio più raffinato dell’album, un crescendo avvolgente dal pianoforte malinconico iniziale al post-rock in clean successivo, scorrendo attraverso passaggi atmosferici e sognanti fino alla sua conclusione dai richiami jazz, travolgente e drammatica nelle sue sfumature quasi psichedeliche.

“Calvario” è l’unico brano cantato in italiano del lavoro e forse il più riuscito, guidato da un mid-tempo rockeggiante e dalla voce recitata di Finotello, che esplode in un refrain urlato e rabbioso, accompagnato da tastiere avvolgenti e sinfoniche ai limiti dell’epicità; la breve outro “Exhale”, sinfonica e tragica, chiude l’album in un’atmosferica drammatica e struggente, alla fine di un’opera dalle molte sfumature e dalle più variegate emozioni. Il quinto album dei Necroart è uno specchio della loro evoluzione musicale, della loro ricerca di un sound personale che strizza l’occhio a un certo tipo di black metal moderno dalle ritmiche contenute, penetrando la sfera del post-metal nei suoi richiami più struggenti e nei molti momenti acustici, mai banali e mai eccessivamente raffinati, riflesso di una band che cerca di dare alla propria musica un’aura sempre più drammatica e sofferta, incentrata su melodie ragionate e intense piuttosto che sulla velocità, a disegnare il contorno oppressivo e drammatico di uno stile che sfugge a qualsiasi tentativo di definizione e a qualsiasi etichettatura.

Recensione a cura di Alessandro Pineschi
Voto: 80/100

Tracklist:
1. Inhale 
2. Son of Worms 
3. Still Dying God 
4. The Highest Law
5. For Any Earth Is Sky 
6. Calvario 
7. The Hangman's Noose 
8. Exhale

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