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DARKTHRONE "It Beckons Us All......." (Recensione)


Full-length, Peaceville Records
(2024)

A distanza di due anni dal precedente “Astral Fortress” tornano a farsi sentire i Darkthrone, raggiungendo quota venti album in oltre trent’anni di attività. Lo stile dei nostri, da ormai molto tempo, ha abbandonato il black (genere che hanno contribuito ad inventare con una manciata di album) degli anni ’90 e il black ‘n’ roll dei primi ’00 e ’10, per virare verso una sorta di protoblack influenzato in maniera evidente dai Celtic Frost. Questo cambio di indirizzo ha sempre scontentato i puristi e i nostalgici, che hanno a più riprese gridato al tradimento, al rincoglionimento e alla delusione per i fan. 

Ma, da sempre, Fenriz e Nocturno Culto hanno fatto solo e soltanto quello che volevano, fregandosene di accontentare chicchessia (vedi anche la totale assenza di live, se si escludono tre concerti ad inizio anni novanta). E di questo, volenti o nolenti, gliene si deve dare atto e merito. Per cui, ci sarà chi continuerà a criticarli e chi ad esaltarli ma loro continueranno a fare quello che vogliono, come è giusto che sia, per una band. E, senza dubbio, meglio loro che tanti gruppi che fanno dischi che vorrebbero accontentare i fan ma senza essere più convincenti (qualcuno ha detto Dark Funeral?). 

Venendo a questo “It Beckons Us All……”, ci troviamo di fronte al disco più celtic frostiano partorito dal duo norvegese. Metterò subito in chiaro quelli che, per me, sono i due principali difetti del disco: lunghezza dei brani e, talvolta, la voce. Partiamo dal primo problema: io amo i brani lunghi (anche di venti minuti non sono un problema) se questi non sono allungati solo per far durare di più una canzone (tipo gli ultimi Iron Maiden). Ecco, qui si ha spesso questa sensazione. Se i brani, invece di sei minuti l’uno (più o meno), fossero durati quattro/cinque sarebbero risultati molto più incisivi. Secondo problema: la voce. Non me ne voglia Fenriz ma la sua voce pulita proprio non mi riesce a convincere, in questo contesto. Una voce sguaiata e sgraziata andava bene per Isengard ma in questo contesto quasi doom non riesce a prendermi del tutto (ma non nego che potrebbe essere un mio limite). Detto ciò, ritengo il lavoro molto valido, con pezzi che funzionano e che tentano anche qualche accenno di sperimentazione e di psichedelia, soprattutto nella conclusiva “The Lone Pines Of The Lost Planet”, brano di dieci minuti che, nonostante la lunghezza, non annoia e dà la sensazione di trovarsi da soli su un pianeta morente. 

Altro brano che mi ha convinto sin dall’uscita del singolo è “The Bird People Of Nordland”, soprattutto grazie ai giochi di voce doppiata e alla sua parte centrale, in cui il brano aumenta di velocità, rimandando al periodo black’n’roll, segno che, quando vogliono, i nostri ricordano ancora come si possa suonare anche in maniera non cadenzata. In definitiva, questo nuovo lavoro, pur non essendo un capolavoro (per quelli bisogna tornare agli anni novanta), si lascia ascoltare con piacere, se ci si leva i paraorecchie, anche se, ripeto, i brani dovevano durare un paio di minuti in meno, in alcuni casi. A chi cerca un “Transylvanian Hunger” parte 2 consiglio di rivolgersi altrove. 

Personalmente, per il prossimo lavoro, mi auguro un ulteriore cambiamento di rotta, che non dimentichi ma che, anzi, accentui le sperimentazioni, perché sono sicuro che potrebbe riservare delle sorprese non da poco. 

Recensione a cura di Marco "Wolf " Lauro
Voto: 80/100 

Tracklist:

1. Howling Primitive Colonies 
2. Eon 3 
3. Black Dawn Affiliation 
4. And in That Moment I Knew the Answer 
5. The Bird People of Nordland 
6. The Heavy Hand 
7. The Lone Pines of the Lost Planet

Line-up:
Fenriz - Drums, Vocals, Bass, Guitars (additional), Songwriting, Lyrics
Nocturno Culto - Vocals, Guitars, Bass, Songwriting

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