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ECR.LINF "Belluaires" (Recensione)


Full-length, My Kingdom Music
(2024)

Ancora una volta mi capita la preposizione “post” per definire un genere interno al reame del Metal, e qui si parla di Post Black Metal, e io come sempre mi domando dopo quale rivoluzione o catastrofe siamo sopravvissuti per dover ridefinire qualcosa che in fondo è quel che conosciamo già benissimo, magari messo in cross-over con altro, ma sempre ampiamente riconoscibile e tutto sommato classico, pur spacciato per innovativo e all’avanguardia: “post”, appunto, ma “post” cosa? Band francese, e io e il Black Metal francese andiamo molto d’accordo, se non proprio dai tempi delle “Les Légions Noires” dei vari Mütiilation e Vlad Tepes, almeno dai primi Seth e via via fino ai fenomenali e dirompenti Deathspell Omega, passando per cose meno note come Heol Telwen, Crystalium o Aorlhac. Quindi, i migliori presupposti: interessante notare come la band stia proponendo sì del Black Metal abbastanza canonico, ma senza screaming vocals, rimpiazzate da una timbrica molto più Hardcore Punk, il che mi richiama un altro album che ho molto apprezzato, ovvero “Weltschmerz” dei Totem Skin.

Come sempre, evitiamo le solite diatribe e scontri inesistenti, dal sapore ideologico più che musicale, tra l’altro senza costrutto, fra movimento Hardcore, e Punk in generale, e Metal, magari Black Metal in particolare. Lo scadimento di valori del Metal estremo che Øystein “Euronymous” Aarseth imputava anche all’ingresso di una morale Hardcore mi trova solo in parte d'accordo: capisco benissimo che il Metal, e certi sotto-generi in particolare, be poco abbiano a che fare col divertirsi sullo skateboard o fare “mosh” ai concerti, ma quella è la testa del metallaro medio, da sempre, che alla fin fine è solo un (ormai non più) ragazzo che vuole spassarsela e divertirsi come tutti, e c’è chi va in discoteca a ballare e chi va ai live show a fare “pogo”: espressioni di vitalità e ormoni fuori controllo che anche io reputo del tutto antitetici a contesti come il Black Metal, ma alla fin fine, guardate quanti seguaci del genere passano la vita in isolamento davvero all’insegna della misantropia o dell’ascetismo: Euronymous se la prendeva col capo d’accusa sbagliato e oggi, come ieri, ai miei e suoi tempi (che riposi in pace!) le cose andavano diversamente.

Ma ripeto, il Punk a livello musicale, ma anche attitudinale, con la filosofia, che so?, del Do-It-Yourself, non è un nemico del Metal, anzi: ne è una parte fondante, avendo iniettato la velocità d’esecuzione che assieme alla cupezza dell’Hard Rock e la raffinatezza del Progressive Rock ha contribuito a creare l’Heavy Metal in quanto tale. Senza Hardcore Punk, non a avremmo cose come lo skank-beat e pedale a corda stoppata sugli ottavi di battuta, che è la firma di tanto Thrash Metal, oppure il D-beat, tanto caro ai Discharge (da cui deriva la “D”), ma anche ai Celtic Frost e poi ai Darkthrone e a infiniti altri, e senza il Grindcore Punk non avremmo avuto una cosetta come il blast-beat, che poi Pete “Commando” Sandoval dei Morbid Angel avrebbe raffinato e reso metricamente preciso e corretto. In generale, la propulsione ad andare “oltre”, a rompere gli schemi di quel che era il Rock anni ‘70 e a seguire dal Metal classico a quello estremo, è stata fornita dal Punk, in tutte le sue forme, e direi che le evoluzioni di questo influenzavano il Metal, e vale anche il contrario, come nel caso del Crust Punk, che è Punk in cui ritornano le influenze Metal estreme che esso stesso aveva ispirato in prima battuta: il cerchio si chiude!

E dopo questa lezioncina, per cui mi spaccio sempre per professorone (che non sono!) che ci tiene non solo alla musica e alla sua teoria, ma anche alla storia del genere e al contesto culturale e sociale in cui si sviluppa, torniamo a questi Ecr.linf (che brutto nome per una band!), che si presentano con un logo particolare, ben poco Black Metal, ma non disprezzabile, e una copertina non esattamente esaltante: pendete la melodia tipica di certe band svedesi, ma anche ormai di molte francesi, e aggiungete qualche dissonanza che rimane però circoscritta, senza essere la base preponderante come in “Fas - Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum” o “Paracletus” dei Deathspell Omega, ma nemmeno allo stesso livello di quanto proposto dai sempre francesi VI in “De Praestigiis Angelorum” del 2015: per lo più, abbiamo riff melodici in senso canonico, con il classico tremolo-picking su blast-beat tradizionale. L’esecuzione è precisa e la produzione esalta molto bene potenza, pulizia e frequenze basse, donando spessore al suono giustamente diverso dei ghiacciai acustici di certe uscite norvegesi o svedesi. I fraseggi non sono affatto male, anche se un po’ generici, talvolta, quindi di sicuro convincono al primo ascolto, ma dubito rimarranno nella Storia o nella memoria per molto tempo! La voce è l’elemento più di rottura, ma senza timore, vi posso dire che è una solida, robusta timbrica Hardcore che non stona affatto con la parte strumentale: se siete stanchi delle solite screaming vocal che riprendono quanto Quorthon, con i suoi Bathory, aveva già fatto nel 1985 o nel 1987, allora qui c’è qualcosa di interessante. Non un capolavoro, ma meritevole della vostra attenzione, senza dubbio!

Recensione a cura di Luke Vincent
Voto: 75/100

Tracklist:

1. Le désespoir du prophète 
2. Tribunal de l'âme 
3. La danse des crânes
4. Missive 
5. Le royaume du vide 
6. Ultime projection 
7. Valetaille
8. Feu pâle

Line-up:
Jiu Gebenholtz - Bass
Remi Serafino - Drums
Dorian Lairson - Guitars
Jean Lassalle - Keyboards
Krys Denhez - Vocals

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