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BLOODBATH "The Arrow Of Satan Is Drawn" (Recensione)


Full-length, Peaceville Records
(2018)

La prima cosa che mi ha colpito di questo disco è la copertina, non la più esplicita ma sicuramente la più inquietante, satanica e morbosa in maniera profonda e sottile. Per nulla sottile è invece la musica che il quintetto ci propone, ancora una volta un death metal senza compromessi e senza sperimentazioni che rimanda specialmente al glorioso ed estremo passato della penisola scandinava, da cui provengono i quattro quinti della formazione. Per nulla spaventato dalla Brexit abbiamo invece, ancora una volta in un ruolo che non avremmo mai pensato potesse essere suo, Nick Holmes dei Paradise Lost: in pratica è cambiato solo un chitarrista, che comunque non ha portato chissà quali novità rispetto al precedente “Grand morbid funeral”. 

I Bloodbath vengono sempre descritti come un incrocio tra la tradizione scandinava e quella americana del genere, ma non sono mai stato troppo d'accordo...quella che si respira è proprio l'aria di Stoccolma, ed anche se tra le tracce del disco si respirano arie diverse, ed in qualche pezzo fa sicuramente capolino un approccio più tecnico e spigoloso d'oltreoceano, possiamo parlare comunque di sonorità essenzialmente europee. Diciamo però che sicuramente dall'abbandono di Dan Swano i Bloodbath hanno incorporato una maggiore complessità strutturale, questo sì. 

Niente di nuovo, dicevamo, se non una nuova collezione di brani. Potrebbe sembrare limitativo liquidare questo disco in questo modo, ma è semplicemente la fotografia di quello che vi potete aspettare da “The arrow...” ecc. ecc. . Chiariamoci, la classe non è acqua, ed anzi io sono sempre rimasto stupito di come una band nata essenzialmente per divertimento, come valvola di sfogo per vecchie glorie che avevano chiuso con budella e frattaglie, possa competere ad armi pari con i grandi nomi del settore. Il loro pregio principale è probabilmente quello di sapere esplorare tutti i canoni del genere – dalla melodia, alle atmosfere sulfuree e quasi doom, all'assalto tout court ed il blast beat – senza mai tradire l'ortodossia stilistica. Non sono pezzi tirati via così su due piedi, ma composizioni ben ragionate. 

Com'è ovvio, non sempre l'ispirazione è al massimo. “Wayward samaritan” è sicuramente l'highlight dell'album, e momenti memorabili ce ne sono davvero tanti, così come anche qualche momento di stanca fa capolino di tanto in tanto, per cui è difficile riuscire a digerirlo tutto d'un fiato senza prendersi qualche pausa. Insomma, il futuro del genere non è certo nelle mani dei volenterosi Bloodbath, ma probabilmente non è nemmeno il loro intento: quello che conta è poterci godere, assieme a loro, un godibilissimo presente. 

Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 74/100

Tracklist:
1. Fleischmann 03:38
2. Bloodicide 04:56
3. Wayward Samaritan 03:39
4. Levitator 04:37
5. Deader 04:05
6. March of the Crucifiers 04:04
7. Morbid Antichrist 04:04
8. Warhead Ritual 03:38
9. Only the Dead Survive 05:06
10. Chainsaw Lullaby 03:20

DURATA TOTALE: 41:07

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