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ASCENSION "Under the Veil of Madness" (Recensione)


Full-length, Independent
(2023)

Esistono dischi che ci lasciano del tutto indifferenti, dove non c’è nulla da eccepire, tutto scritto bene ed eseguito anche meglio, ma niente, predomina solo la noia. Poi ci sono i dischi brutti, anche molto brutti: quelli dove è tutto sbagliato, le idee non ci sono, la composizione è stracolma di errori, o di pacchianate del tutto improponibili. Ci sono però anche quei dischi che, come dire?, sono così brutti, ma così tanto, ma davvero tanto tanto, da fare il giro e diventare potenziali capolavori da tramandare ai posteri. Sono casi eccezionali, ma credo di averne trovato uno!

Non vi sto prendendo in giro, lo sapete che quando c’è da calare la scure del boia, non esito granché e ci facciamo pure un po’ di risate, ma non per questo album: la prima volta che l’ho fatto girare, m’è girata subito la testa, proprio una vertigine; sentivo di odiarlo e di amarlo al tempo stesso, tutto nel giro di pochi secondi, e il mio limitato cervellino non riusciva ad elaborare queste istanze contraddittorie e simultanee esplose in un così breve lasso di tempo. Mi son detto: santa polenta, le chitarre! Ma sono delle chitarre? Non sono delle tastiere, vero? Non è un file midi, sono strumenti a corda, giusto? Non sono un ingegnere del suono, quindi ignoro come si possa ottenere una timbrica del genere: ho avuto un flashback fugace che mi ha riportato alla mente i guitar-synth degli Iron Maiden in “Somewhere in Time”, ma non dev’essere nemmeno quello. No, qui siamo dinanzi alla genialità più deteriore, quella che solo dei nerd conciati male come me possono esibire: rendere gli strumenti reali dei font sonori ad 8-bit.

Ma non finisce qui: se siete fortunati, ogni tanto, avrete qualche nota della durata di un ottavo, per il resto solo serpentine su serpentine di note in sedicesimi. Nessun fraseggio, quindi nessun discorso melodico, ma solo una successione di note messe lì sfidando la nostra fiducia che dietro a tutto questo ci siano musicisti in carne ed ossa. Un cantante celestiale, lanciatissimo sugli ultrasuoni, gradevole come masticare del ghiaccio con i denti sensibili. Tutto è asettico, freddissimo: pensavo che il peggio fosse stato raggiunto col miglior album Progressive Metal di tutti i tempi, il primo e unico lavoro degli Spiral Architect, “A Sceptic's Universe”, del 2000: anche lì c’erano queste terribili pecche di equalizzazione, però poi dal mix saltava fuori un basso dalla performance definitiva, una roba mostruosa che si integrava con pattern ritmici deliranti e una voce pulitissima anche su frequenze altissime. Se vi capita, recuperatelo, perché merita davvero! Bene, stacco promozionale finito.

Torniamo ai nostri Ascension, che scopro hanno pure rilasciato un altro album nel 2012 con una line-up quasi del tutto diversa: dopo la bellezza di undici anni, i nostri tornano con delle trovate davvero pazzesche, proprio al di là delle solite cose da Power Metal in stile cartone animato, o di quello più radiofonico e ruffiano: momenti del tutto fuori registro, con queste scale maggiori allegre e spensierate, che però trovano una loro dignità se collocate in un simile contesto del tutto anomalo. Qualcuno mi suggerisce che qualcosa di simile l’avevano portata alla ribalta i Dragonforce, che non ho mai ascoltato perché non mi stuzzicano nemmeno un po’: questi Ascension invece sono dei perfetti sconosciuti che ho intercettato così, a caso, e la mia giornata è subito migliorata, e per questo mi sento davvero di ringraziarli: il disco dura un’ora intera, ma questa volta non mi lamenterò per l’eccessivo minutaggio. Per me un capolavoro, quindi prendete pure il voto e moltiplicatelo per due.

Recensione a cura di Luke Vincent
Voto: 50/100

Tracklist:

1. Sayonara 
2. Megalomaniac 
3. Defiance 
4. Monsters 
5. Set You Free 
6. Last Winters Night 
7. Under the Veil of Madness (Part 1) 
8. Power of a Thousand Suns (Part 2) 
9. Pages of Gold (Part 3) 
10. God of Death

Line-up:
Nick Blake - Bass
Dick Gilchrist - Drums
Fraser Edwards - Guitars
Stuart Docherty - Guitars
Richard Carnie - Vocals

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