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ENRICO BENVENUTO "Transition" (Recensione)


Full-length, Fusion Core Records
(2024)

Siamo sempre in pieno territorio Metal, ma con un genere e un formato un po’ ostici per me: Progressive Metal strumentale. E’ probabile che io non sia il più grande appassionato del Progressive Metal, anche se dovremmo capire prima bene cosa vuol dire questo termine, questa etichetta. Spesso ci si riferisce a prodotti dalle spiccate doti di complessità compositiva o esecutiva, e se voi magari pensate ai Dream Theater, io penso anche ai tedeschi Disillusion o ai norvegesi Spiral Architect. Ma in realtà, stiamo parlando della resa metallizzata di quello che fu il Progressive Rock anni ‘70, che è già di suo, uno dei tre ingredienti fondamentali per la ricetta dell0Heavy Metal, assieme ad Hard Rock e Punk Rock. E all’inizio il concetto di Prog era quello di scardinare più che altro la struttura e gli arrangiamenti della musica popolare, attingendo senza problemi alla musica colta e classica, cosa poi evidente nel formato di brano esteso conosciuto come suite.

Non è quindi detto che un brano o in disco debbano essere infarciti di soluzioni virtuosistiche per ricevere la promozione a Progressive Metal: è proprio il song-writing che ne deve risentire! “Phantom Of The Opera” degli Iron Maiden, già nel loro debutto del 1980, è un brano Progressive, ma vi faccio un esempio davvero spiazzante: il brano “Det som en gang var”, posto in apertura di “Hvis lyset tar oss” del progetto solista di Greifi Grishnackh, è comunque Progressive. Esecuzione ai minimi termini, composizione accuratamente pensata per ottenere davvero il massimo da pochi semplici riff mandati in ciclo, eppure, con il suo respiro (sofferto, agonizzante) da oltre 14 minuti, possiamo parlare di Progressive, con questi motivi melodici elementari che si ripetono e vengono richiamati in più occasioni, senza passare mai dalla forma canzone precostituita, che viene sostituita da una forma narrativa, libera. Non è Progressive “Keeper of the Seven Keys” degli Helloween, perché malgrado la durata del brano, e la grande perizia tecnico-compositiva, la struttura è quella di una canzone, con strofa, ritornello, e un intermezzo particolarmente esteso.

Fine della lezioncina! Ma qui, allora? Brani tutti piuttosto brevi, diciamo di media durata, in cui ovviamente abbiamo sia l’aspetto di qualità, eccelsa, nella composizione e nell’esecuzione dei fraseggi chitarristici, che la complessità nella struttura dei brani, che un po’ anche per la loro natura di brani strumentali molto orientati alla chitarra, non seguono strutture predefinite. Non solo non abbiamo ovviamente “strofe” e “ritornelli”, ma anche i riff, che sono un po’ l’unità base, la cellula del Metal e di tanto Rock più in generale, si offrono solo di fare da tappeto armonico-ritmico per lunghi e articolati fraseggi di chitarra. Melodie di facile presa, nemmeno a parlarne, quindi magari c’è un po’ quel difettuccio, che abbiamo anche in tanto Death Metal tecnico, di lasciare poco come ricordo preciso di una dato momento o di una risoluzione melodica particolarmente appagante.

Quindi, tutto molto bello, prodotto benissimo con dei suoni belli, potenti, nitidi ma non artificiali: pago un po’ lo scotto di non essere un amante della musica puramente strumentale, ma questi son gusti personali, che pesano sul giudizio finale solo perché la firma in fondo alla recensione è la mia: se volete 40 minuti di ottimo Progressive Metal senza momenti morti, tutto bello compatto e suonato in modo stellare, allora aggiungete pure 15 o 20 punti in più al voto!

Recensione a cura di Luke Vincent
Voto: 70/100

Tracklist:
01. The Run 
02. Rainstorm 
03. 1998 
04. The Goldfinch 
05. A Quiet Day 
06. Shadows (Dämmerung Homicide) 
07. Straight Ahead 
08. Transition 
09. Legacy 
10. The Beginning

Line-up:
Enrico Benvenuto - Guitars & programming 
Marco Portalupi - Bass 
Massimo Balanzino - Drums

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