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SACRED OUTCRY "Towers of Gold" (Recensione)


Full-length, No Remorse Records
(2023)

Lo ammetto subito: questi Sacred Outcry vengono dalla Grecia, suonano Epic Metal anni ‘80, e hanno rilasciato un album di debutto, nel 2020, intitolato “Damned for All Time…”, ovvero come uno dei brani dei Blind Guardian contenuto in “Follow The Blind”, l’album da cui tutti ricordano “Valhalla”, che per me è un capolavoro dello Speed Metal che poi evolverà nel Power Metal peculiare dei Bardi di Krefeld. Basterebbe già solo questo!

E invece non basta, perché noi non solo faremo la recensione di questo ultimo album intitolato “Towers of Gold”, ma tratteremo il parallelo anche il suo predecessore! La formula infatti si ripete in perfetta continuità: un Epic Metal favoloso, in cui emergono, con un’irruenza ben controllata, elementi Power Metal, specie quando la doppia cassa si mette in moto e la chitarra ritmica ne segue la scia. Ma dobbiamo subito toglierci il dente cariato dei difetti! I due album sono davvero molto lunghi, 55 minuti ciascuno, e con le title-track che, per entrambi, sfiorano il quarto d’ora di durata. Proprio come “And Then There Was Silence”, posta dai Blind Guardian in chiusura dell’album “A Night at the Opera”, ci ritroviamo con una suite molto elaborata alla fine di un lavoro altrettanto impegnativo. Questi dischi dei Sacred Outcry me li sono sciroppati senza pause o skip di traccia, come faccio sempre quando devo valutare un’opera nella sua interezza, dovendo esprimermi anche sul fattore della scorrevolezza.

E qui davvero ho fatto una fatica impressionante: ai 3 / 4 del disco già sentivo l’affanno, ma arrivati quasi alla fine delle suite poste in chiusura, mi trovavo a strisciare per terra usando, come unico sostegno, il colletto gengivale. E’ musica grandiosa, senza riempitivi, senza passi falsi, quindi risulta ancor più un peccato dover arrivare ad un certo punto e alzare bandiera bianca. Immaginate di arrivare a fine pasto, quando magari vorreste solo un caffè, e sentirvi dire che c’è ancora una portata tripla di cotechino e lenticchie: vi sfido a non provare un minimo di meteorismo! Per il resto, tutto è fatto come le divinità dell’Olimpo comandano: scrittura che bilancia benissimo pathos e tecnica, esecuzione impeccabile da parte di tutti i musicisti coinvolti, voce dalla tessitura morbida e mai sfibrata da eccessi ultrasonici; in realtà, dovrei parlare di “voci”, al plurale, perché i due album, seguendo lo stesso identico iter dei sempre ellenici Warrior Path, vedono al microfono Yannis Papadopoulos per l’esordio, quindi lo svedese Daniel Heiman per il successore. Inutile sottolineare come le prestazioni di entrambi siano a dir poco stellari.

Quindi, per chiudere: due album ineccepibili sotto tutti i punti di vista, a conferma che la Grecia ha di sicuro un clima e una cucina tipica che favorisce il proliferare di così tante eccellenze in quasi tutti gli ambiti del Metal, estremo e non. E’ con dolore che mi ritrovo ad abbassare un pochino il voto finale rispetto a quanto si sarebbe ottenuto con una migliore gestione del minutaggio: a parità di materiale, la prossima volta, pubblicatene quattro, di album! Dateci il tempo di respirare!

Recensione a cura di Luke Vincent
Voto: 75/100

Tracklist:

1. Through Lands Forgotten (At the Crossroads of Fate) 
2. The Flame Rekindled (Lurid Lights and Drunken Revelry) 
3. The Voyage (Towards Immortality) 
4. Into the Storm (Beyond the Lost Horizon) 
5. Symphony of the Night (The Curse of the Blind) 
6. A Midnight Reverie (Whispers in the Wind) 
7. The Sweet Wine of Betrayal (The Perennial Sin) 
8. The City of Stone (The Burden of the Crownless Kings) 
9. Towers of Gold (Tempus Edax Rerum) 
10. Where Crimson Shadows Dwell (And Ouroboros Dreamt)

Line-up:
George Apalodimas - Bass
Steve Lado - Guitars
Daniel Heiman - Vocals
Defkalion Dimos - Drums

Web:
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