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ARMAGEDDA "Svindeldjup ättestup" (Recensione)


Full-length, Nordvis Produktion 
(2020)

Pubblicato lo scorso maggio sotto la Nordvis Produktion, "Svindeldjup Ättestup" sancisce l'inatteso ritorno sulla scena degli svedesi Armagedda, duo originario della Norrland che sedici anni fa, con l'uscita del terzo album in studio "Ond Spiritism", aveva detto addio al panorama black metal chiudendo di fatto la sua breve e non certo entusiasmante carriera. Eppure eccoli d'un tratto tornare alla ribalta, dopo una lunga fase di stallo terminata con la recentissima reunion e col rilascio del loro quarto lavoro sulla lunga distanza, consacrazione dell'avvenuta resurrezione del progetto nato nel lontano 1999 sotto il nome Volkermord. 

La two-man band composta dal polistrumentista A. Petterson e dal chitarrista e cantante Graav è emersa dal panorama prettamente underground tra il 2002 e il 2004 grazie alla pubblicazione di tre album in studio che, seppur di buona qualità, non hanno a dire il vero lasciato il segno. Le influenze tipicamente swedish, che richiamano tra tutti i conterranei Watain, sono ben rintracciabili all'interno di questi tre lavori, che hanno forse pagato l'assenza di personalità e di identità nel sound del duo per poter avvertire, dopo sedici anni di silenzio, la sua mancanza sulla scena. "Svindeldjup Ättestup" riprende da dove gli Armagedda avevano lasciato in quel lontano 2004, proseguendo il loro cammino evolutivo come se il tempo non fosse passato ma al contrario avesse donato loro nuovi stimoli e nuove energie per provare ancora una volta ad uscire dall'anonimato. 

Il ponte tra questo nuovo lavoro e "Ond Spiritism" risulta evidente fin dall'artwork (firmato da Erik Danielsson dei già citati Watain), che ritaglia e cuce quello del suo predecessore inserendolo in secondo piano a mo' di tributo e replicandone la colorazione tetra e arcaica a rievocarne l'essenza esoterica, per non parlare poi del titolo stesso "Ond Spiritism" che viene ripreso in uno dei brani della nuova release. Il mutamento più marcato riguarda tuttavia l'aspetto musicale, che risente dell'ottimo lavoro di produzione di M., mente dei noti polacchi Mgŀa, che ricostruisce il sound del duo rendendolo più nitido e cristallino, definito in ogni sua sfumatura, in un modo che non ricalca certo le sonorità caotiche e sporche che degli Armagedda, nel bene e nel male, sono sempre state il tratto distintivo. La maturazione è certo evidente ed indubbia, ma forse un po' eccessiva e forzata per una band il cui intento originario era quello di proporre un black metal che fosse il più possibile riconducibile alle sue radici più pure e incontaminate, anche a costo di stanziare nel mero underground. 

L'approccio sporco e minimalista del debutto "The Final War Approaching", così come l'aggressività quasi punk'n'roll del successivo "Only True Believers", sono un ricordo ormai lontano, abbandonato nel passato di un progetto che, se risorto dagli abissi dopo così tanto tempo, evidentemente aveva qualcosa di diverso da farci ascoltare. L'obiettivo di Petterson e Graav non è più dunque la produzione di un caos disordinato e monotono che rievochi le origini arcaiche dello "Svart metall", ma una ricerca più approfondita ed accurata di un sound che rielabori la malvagità dei territori infernali ed esoterici da cui essi traggono il loro nettare in una chiave moderna, che non disdegna qualche passaggio melodico risultando oltremodo oscura e sinistra. Le tematiche si aggirano intorno a contesti demoniaci che narrano di antichi rituali di fuoco e sangue, banchetti di carne e dannazioni eterne, auspicando l'Apocalisse della cristianità nel nome di Colui che regna nel sottomondo, tra la sporcizia e le tenebre, senza risparmiarsi qualche critica costruttiva all'ipocrisia cristiana. Gli Armagedda sono più puliti ed armonici, ma non certo meno blasfemi, e tra cambi di tempo e atmosfere opprimenti siglano un altro capitolo di una saga che sembrava chiusa sedici anni fa, ma che invece adesso appare rinvigorita.

Ad aprire il lavoro troviamo l'intro "Det sjuttonde året" (Il diciassettesimo anno) che trasporta l'ascoltatore in un'atmosfera cupa e sinistra che si infuria già con le prime note di "Ond Spiritism" (Spirito maligno), trovando una batteria decisa e martellante che ben si fonde con un muro di chitarre taglienti e aggressive, vagamente melodiche, e con un cantato ben curato che assume a tratti un contorno quasi tragico, irriconoscibile rispetto allo scream classico dei vecchi lavori. Una serie di repentini cambi di tempo con sullo sfondo oscure danze, una ragazza in fiamme al centro di uno strano rituale ed arcaici canti accompagnano verso la successiva "Likvaka" (Veglia funebre), in principio lenta e cupa ma che con un crescendo tremolante in picking, tra chitarre taglienti e un canto oppressivo, accelera veracemente per poi assumere un contorno epico e tragico, quanto mai oscuro. "Djupens djup" (Profonda profondità) racconta di cristiani dannati e di fuochi che bruciano nel cuore della Terra, con una batteria inzialmente cadenzata, al confine col black/doom, affiancata da uno scream disperato e dalle due chitarre che viaggiano su ritmi opposti, l'una rallentata e cupa e l'altra affilata come un coltello, prima di una decisa accelerazione conclusa da un finale di cori dai richiami epici. "Guds kadaver (en falsk messias)" non necessita di traduzione e tratta della falsità di un Dio che promette l'illusione del Paradiso ma condanna all'Inferno; presenta una partenza rallentata e cupa che si evolve in un'accelerazione veemente scandita da chitarre gelide e decise, con un'eco quasi punk'n'roll in puro stile Armagedda. Più lenta e tragica è l'apocalittica "Flod av smuts" (Fiume di sporcizia), che cavalca sentieri cupi e al contempo melodici per poi lasciare a chitarre distorte e ipnotiche il dominio della scena, tra un'improvvisa accelerazione e un finale quieto che prosegue introducendo la conclusiva "Evigheten i en obrytbar cirkel" (Un'eternità in un circolo infrangibile), che con i suoi undici minuti rappresenta l'unica effettiva variazione musicale del lavoro, cavalcando vertiginosi cambi di tempo che si concedono due aperture acustiche e melodiche con tanto di sinistri arpeggi, tra un'accelerazione graffiante e un crescendo che, sul finale, rinnova sfumature epiche con cori appena accennati. 

In conclusione "Svindeldjup Ättestup", con i suoi quasi cinquanta minuti di durata, è l'album più personale e maturo degli Armagedda, che lasciano le frontiere old-school di inizio carriera in favore di un sound più definito che però li snatura un po' troppo, rendendoli irriconoscibili rispetto ai primi lavori; le chitarre sono più decise e ricercate e collaborano brillantemente tra la ritmica tetra e lugubre e le taglienti accelerazioni della linea principale, mentre la voce è nettamente migliorata nelle sue variazioni tragiche e funeree. Che sia l'illusione di un nuovo inizio, un tardo epilogo oppure un effettivo punto di svolta per il duo non ci è dato saperlo, ma intanto possiamo gustarci un altro figlio del demonio partorito dalla mente di una band che ha fatto dei fuochi dell'Inferno il suo campo di battaglia e che non sembra intenzionata a smettere di richiamarne dall'oblio le più mostruose creature. 

Alessandro Pineschi 
Voto: 70/100

Tracklist:
1. Det sjuttonde året
2. Ond spiritism
3. Likvaka
4. Djupens djup
5. Guds kadaver (en falsk Messias)
6. Flod av smuts
7. Evigheten i en obrytbar cirkel

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