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Opeth "Pale Communion"

Full-length, Roadrunner Records
(2014)

Recensire gli Opeth è un’impresa non da poco. Per chi scrive, quel capolavoro che fu e che è tutt’ora, "Blackwater Park", fu davvero sconvolgente, mi aprì la mente verso nuove frontiere del suono e nuovi schemi. Fu davvero epico, indimenticabile e irripetibile. Negli anni e con le varie uscite discografiche degli Opeth, mi sono abituato ad aspettarmi di tutto, senza uno schema preciso, in quanto ritengo che siano una delle poche band capaci di mescolare con grande equilibrio ed efficacia death metal, progressive e passaggi acustici dal vago sapore folk.
Poi però uscì "Heritage" e fu davvero un’amara sorpresa, poiché in quanto cambiò brutalmente le carte in tavola, eliminando ogni componente aggressiva, ogni growl, ogni chitarrona iperdistorta in favore di un sound votato agli anni '70. Fu un po’ come sedersi sulla tazza del cesso gelata alle sette del mattino in pieno inverno, dopo una notte passata sotto un caldo piumino. Una sensazione sgradevole. Col tempo però, ho rivalutato quell’album, trovandone lati positivi, anche se a dirla tutta, "Heritage" rimane un disco con molte ombre e poche luci, complice forse una prolissità inconcludente innaturale per una band come gli Opeth e anche un songwriting un po’ acerbo e derivativo. Ora, sono passati tre anni da quel cambiamento sconvolgente e, Akerfeldt e soci continuano sulla stessa linea concettuale, con un elaboratissimo progressive rock in odore di King Crimson, Camel, Genesis e chi più ne ha, più ne metta.

Dopo questa premessa, capirete quindi la diffidenza che mi ha accompagnato durante l’ascolto dell’album, diffidenza che, grazie a Dio, si è affievolita ad ogni ascolto, lasciando posto ad un cauto entusiasmo. Questo "Pale Communion" è difficile da recensire, in quanto più che musica, lo definirei come una raccolta di atmosfere diverse, in cui si ha la sensazione di sospensione, quasi come se gli Opeth avessero composto una colonna sonora per qualche trip mentale. Colonna sonora che presenta in alcuni casi soluzioni di grande effetto e decisamente azzeccate, in altre un po’ più stantie e prolisse. Questo album è aperto da "Eternal Rains Will Come", fin da subito uno dei punti più alti dell’album, una traccia di puro prog rock, con delle belle linee vocali che coinvolgono subito fin dal primo ascolto; le tastiere e le chitarre creano un’atmosfera avvolgente e calda, basso e batteria sono fantasiose a dovere e compiono il loro lavoro in maniera egregia. Un inizio più che soddisfacente. La successiva "Cusp Of Eternity" è più ossessiva, incentrata su un riff di chitarra groovy e ossessivo, dalla ritmica martellante, che sfoggia un bel doppio pedale solo sul finale. Anche in questo caso Akerfeldt fa un ottimo lavoro con le linee vocali, anche se, devo ammetterlo, il richiamo alla tradizione prog anni '70 è palese. La lunga "The Moon Above, The Sun Below", con i suoi dieci minuti abbondanti, si presenta con un basso pulsante, su cui successivamente si uniscono le vocals e la musica, decadente, ossessiva. Nel corso del brano la band svedese non rinuncia a ripescare le vecchie strutture o le sonorità che l’hanno resa famose, come le chitarre acustiche e i delicati fraseggi di chitarra, alternati a passaggi più aggressivi. La canzone non è affatto male, ma in certi punti è troppo prolissa e alla lunga stanca.

"Elysian Woes", è arrangiata quasi esclusivamente con chitarra acustica ed elettrica e voce, ma verso metà pezzo, entra la tastiera in sottofondo, che dà un vago sapore alla Pink Floyd. La canzone si interrompe di botto, po’ come se Akerfeldt e compagni avessero detto “Pausa pranzo… riprendiamo tra un’ora”. Bah! "Goblin" è una strumentale non brutta, ma noiosa e prolissa, strappa sbadigli, è probabimente il brano più noioso e sconclusionato e decisamente derivativo. Da dimenticare. La successiva "River" è una bella sorpresa, aperta da un rilassante arpeggio di chitarra acustica, caratterizzata da una grande ricerca delle linee vocali, cambia improvvisamente a metà brano con ottimi fraseggi di chitarra e una base ritmica molto pulsante. Il brano è un vero proprio crescendo di intensità, si conquista con prepotenza il premio come migliore canzone dell’album. "Voice Of Treason" e "Faith in Others" chiudono l’album in maniera maestosa, la prima con passaggi molto interessanti e ottimamente arrangiati, la seconda inizia in maniera distaccata per poi crescere di intesità emotiva, con temi e linee vocali molto espressive e ricercate.

Un ultimo spunto di riflessione va all’artwork e la produzione del disco: la copertina è splendida ed evocativa quanto basta per invogliare l’ascoltatore a comprare l’album, la produzione, come da qualche anno a questa parte ad opera di Steven Wilson. Aspettatevi dunque suoni perfettamente bilanciati che sanno dare potenza nei momenti più dinamici e la giusta atmosfera in quelli più melanconici e sognanti. Un album da prendere con le pinze.

Recensione di: Stefano Paparesta
Voto 80/100
 
Tracklist:
1. Eternal Rains Will Come 06:46
2. Cusp of Eternity 05:36
3. Moon Above, Sun Below 10:52
4. Elysian Woes 04:47
5. Goblin 04:32 instrumental
6. River 07:30
7. Voice of Treason 08:00
8. Faith in Others 07:39

DURATA TOTALE: 55:42 
 

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