CORONER "Dissonance Theory" (Recensione)
Full length, Century Media
(2025)
I Coroner tornano a venticinque anni da "Grin". Lo scenario della musica metal e non solo è profondamente mutato. I Coroner di Zurigo debuttarono con “R.I.P.” nel 1987, un album molto vicino ai maestri del thrash teutonico che mescolava la musica dei Celtic Frost con influenze classiche della NWOBHM. Nel giro di due album superarono facilmente perfino i maestri di quella scena, rimasta la più fedele allo spirito originario del thrash, dando sfogo a tendenze progressive o, come si direbbe oggi, avanguardistiche con gli album “No More Color” e “Mental Vortex”.
Nel thrash come nel death metal la progressione non era un punto di partenza ma si sviluppava all’interno del genere. Per artisti del calibro di Voivod, Coroner, Megadeth, Mekong Delta, ancora prima di Death e Atheist, la musica progressive non era un battesimo ma giungeva pian piano che la loro musica si arricchiva di album in album, di pari paso alla loro ambizione stilistica, ma in una totale fedeltà e devozione al genere principale. Ciò ha consentito a questi artisti di essere tanto metal quanto progressivi, guadagnandosi l’eterno rispetto da parte dei fan di una sottocultura molto rigida.
La prima volta che ho ascoltato i Coroner mi sono stati descritti come tecnici, cervellotici, ma questa non è tecnica fine a se stessa. Ciò che sfugge agli ascoltatori è che sotto tutta la scorza i Coroner sono essenzialmente un gruppo melodico. Quando vogliono sanno essere velocissimi come nel primo singolo estratto, “Ranewal”, ma anche groove e suonare in tempi dispari, ma la loro musica scorre sempre fluida, ogni influenza stilistica è funzionale allo scopo. "Grin" fu influenzato dall’ industrial/groove metal di quegli anni. "Dissonance Theory" continua il percorso evolutivo assorbendo influssi circostanti, ravvisabili soprattutto in certe ritmiche djent come in “Transparent Eye”, ma non facendosi fagogitare adattando il tutto al linguaggio di questo thrash ultra modernista. Del resto artisti come i Fear Factory sono debitori anche dei Coroner. Alcune melodie e venature industriali sono vicine ai Kreator di “Endorama”, disco nel quale Tommy T. Baron Vetterli si occupò della seconda chitarra, ma depurate dagli eccessi stilistici che affliggevano quel bistrattato lavoro.
La voce di Ron Royce dall’abbaio afono di un tempo assume forme espressive simili all’odierno Mille Petrozza, mentre Tommy T. Baron si destreggia tra oscure melodie in scala minore e l’atonalità pura dei riff di questo thrash avanguardistico rifuggendo qualsiasi solismo fine a sé stesso. Non sempre i Coroner viaggiano ad alte velocità, ma non ne hanno bisogno. Questa musica è talmente immersiva che un brano come “Trinity” (che guarda ai Death di “Individual Thought Patterns”) chiede solo all’ascoltatore di essere portato a termine senza bisogno di accelerare. “Prolonging” si districa tra jazz di scuola krautrock, atmosfere oscure chiudendo l’album invitando l’ascoltatore a ricominciare da capo.
Viene solo da chiedersi se in tutti questi anni dall’assenza dei Coroner sulle scene, se le band avessero seguito il loro esempio, e mi riferisco non solo al thrash o a sotto generi derivativi come il metalcore, ma soprattutto ad artisti metal progressivi accondiscendenti verso i propri vizi stilistici, la musica progressive verserebbe sicuramente in un altro stato.
Recensione a cura di Gabriel "Althos" Aldo
Voto 80/100
1. Oxymoron
2. Consequence
3. Sacrificial Lamb
4. Cirsium Bound
5. Symmetry
6. The Law
7. Transparent Eye
8. Trinity
9. Renewal
10. Prolonging
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