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INNER BLAST - Prophecy (Review)

Full-length, Nordavind Records 
(2016)

Nonostante le apparenze, non sono mai stato un grande fan del gothic metal. Intendo… in termini di band conosciute, dischi apprezzati, attenzione all’evoluzione del genere e quant’altro. Nonostante militi da lungo tempo proprio in una band affine a quel sound, i miei gusti sono generalmente altri, e forse è questo il motivo per cui non sono mai riuscito a sentirmi parte integrante di quel mondo (con conseguenze immaginabili…).
Certo, se capita spesso che il connubio tra atmosfere oscure e voce melodica mi faccia desiderare di avere Messiah Marcolin dietro il microfono e non la dolce fatina di turno un problema ci sarà, ma sgombro subito il campo da possibili dubbi: non è questo il caso degli Inner Blast. Va bene, la label definisce il progetto “una ventata di aria fresca in una scena sovraffollata e prevedibile” e la mia diffidenza sale all’inverosimile perché che la suddetta scena sia “sovraffollata e prevedibile” lo sanno anche i muri e affermarlo decreta un’ovvia possibilità di vittoria pari a quella che dovevano avere i bravi cittadini della DDR nel votare convintamente la SED.

Comunque sia, se è vero che la differenza tra un disco sopra la media e uno da dimenticare si percepisce dall’aura che crea sin dal primo pezzo, allora gli Inner Blast sarebbero promossi in partenza con la loro scelta di inserire una variazione vagamente NWOBHM a metà dell’opener “Private Nation”, ma lungi da me fare simili generalizzazioni. Neanche a dirlo, è necessario ascoltare quello che il quintetto ha scelto come singolo per capire le vere potenzialità di questa band che viene dal Portogallo e che non ha nulla in comune con i conterranei Moonspell, se non la scelta di un aggettivo nel sound. Sì, perché su “Insane” dominano quelle atmosfere in crescendo che imperavano sino a venticinque anni fa e che di cui improvvisamente si è dimenticata la formula, con una componente pop molto importante che non teme l’accostamento ai Garbage nella suadente strofa. 
Lasciatemelo dire, chi mescola convintamente metal e melodie senza snaturare l’uno e inseguire forsennatamente le altre (o non essere in grado di scriverle, ma questa è un’altra storia) ha già la mia simpatia: tanto più che la brava Liliana non trascura di sciorinare la sua passione per Angela Gossow e compagna urlante, deliziandoci qua e là con derive gutturali che si legano bene con il sound, senza apparire “costruite” come in molti altri progetti. Probabilmente in alcuni punti la band mostra di dover fare ancora un po’ di strada sul versante degli arrangiamenti, presentando buone idee che però avrebbero necessitato di una rielaborazione, come nel caso di “Feel The Storm” e del suo flavour in qualche modo reminiscente dei Depeche Mode, cui si aggiungono ingredienti tratti dalla tradizione scandinava. 

Lo stesso discorso vale per “Tears” e “Inner Fire”, tra le meno interessanti del lotto, con il loro pianoforte in pieno stile Evanescence e arrangiamenti sin troppo scarni, anche se ad onor del vero va detto come alcuni elementi del sound tentino un distacco dal pesante fardello a stelle e strisce. Dunque, una formula ancora da collaudare, anche se la strada è aperta e presenta interessanti passaggi, come il poderoso metal di “Darkest Hour” e “Time Machine” (impreziosita da atmosfere orientaleggianti), la mescolanza tra atmosfere mediterranee e gothic presente su “Legacy”, e soprattutto la conclusiva “Wings Of Freedom”, che riesce a realizzare la convivenza tra le suggestioni più dure e quelle più melodice, il tutto suggellato da alcuni importanti richiami alla wave anni ‘80. 
Se gli Inner Blast riusciranno a capitalizzare quanto di buono c’è nel loro sound, sentiremo parlare ancora di loro, a dispetto di una scena “sovraffollata e prevedibile”.

Recensione a cura di: schwarzfranz 
Voto: 75/100 

Tracklist:
1. Private Nation
2. Insane 05:02
3. Darkest Hour
4. Feel the Storm
5. Tears
6. Legacy
7. Inner Fire
8. Time Machine
9. Wings of Freedom 

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