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DEATHSPELL OMEGA “The Synarchy of Molten Bones” (Recensione)

Full-length, Norma Evangelium Diaboli 
(2016)

Deathspell Omega, un nome proveniente dalla Francia che ha segnato in maniera indelebile il mondo del black metal post millennio, gruppo misterioso dove ad oggi di certo militano Mikko Aspa come cantante (Clandestine Blaze, Nicole 12, Grunt, tra i suoi mille progetti musicali) ed il fondatore Hasjarl a.k.a Christian Bouche come chitarrista (proprietario della End All Life Productions e membro dell'etichetta Norma Evangelium Diaboli), mentre il bassista Khaos e l'innominato batterista rimangono entità avvolte nell'ombra, specialmente l'ultimo, da non pochi indicato in realtà come una drum machine a causa della sua performance tecnicamente inumana , anche se voci da parte di “coloro che sanno” smentiscono.
L'influenza della band si è fatta sentire specialmente dal 2004 in poi grazie alla pubblicazione del seminale “Si Monumentum Requires, Circumspice”, un disco che ha galvanizzato e scosso gli ascoltatori del metallo nero con la sua furia e la sua tecnica, non a caso imitato ad oltranza creando un intero sottogenere (il così detto orthodox black metal) con vari epigoni e discepoli; ma come spesso accade nessuno è mai riuscito ad eguagliare la loro fusione di perizia tecnica, atmosfera malsana, elementi progressivi, e vortici dissonanti che rasentano il demoniaco. I Nostri non sono certo rimasti fermi negli anni, e tra album come “Fas-Ite, Maledicti, In Ignem Aeternum” e “Paracletus”, ed EP come “Mass Grave Aesthetics” e “Chaining The Katechon” la loro formula è diventata sempre più aspra ed allo stesso tempo melodica, incorporando a seconda dei casi elementi post rock, dosate parti dark ambient, arie progressive struggenti, follie sincopate da delirio allucinante; allo stesso tempo i loro testi si sono inoltrati tanto in discussioni teologiche a favore del Maligno, inteso da loro come entità teologica simbolo della Morte e dell'Entropia, quanto in considerazioni filosofiche ispirate da Bataille, Nietzsche ed altri pensatori “contro” della filosofia occidentale.

Inutile dire che tutto questo ha allontanato non pochi puristi, i quali non ritrovavano più nel loro suono quei dettami di purezza lo-fi ed intransigenza musicale che essi associano al black metal, ma allo stesso tempo ha guadagnato un pubblico abbastanza folto che segue con attenzione le loro uscite, dando loro un successo abbastanza considerevole per una band che non ha mai suonato dal vivo, e che è decisamente avversa alla comunicazione (o forse proprio grazie a questo direbbe qualcuno, mantenendo abilmente una certa mistica in un'epoca dove è facile sapere tutto di tutti grazie ad internet). Dopo l'ultimo EP del 2012 “Drought”, la loro uscita più melodica e che meno ha convinto anche molti fan fedeli, c'è stato solo silenzio, e non pochi erano convinti che la band avesse detto quanto doveva e fosse tornata per sempre nel Vuoto da loro adorato; ma ecco che ora nel 2016 i Nostri sono tornati senza molte fanfare da parte loro, con un album molto breve di ventinove minuti e quattro tracce, qualcuno direbbe un EP, ma su questo punto l'etichetta Norma Evangelium Diaboli è stata intransigente, per la band è da considerarsi un LP a tutti gli effetti, chiamato “The Synarchy Of Molten Bones”. Molte, moltissime le aspettative: un ritorno al black più diretto? Un proseguo del sound più “morbido” dell'ultima uscita? Qualcosa di totalmente inaspettato? Chiariamo subito questo punto. Il disco si presenta come un'unione tra gli elementi folli e sparati a mille di “Fas…..”, la presenza molto sentita del basso di “Paracletus”, e le melodie sviluppate in diversi EP, mentre il songwriting si fa questa volta più conciso, evitando gli interludi e le spoken word spesso utilizzate nel passato recente. La produzione è altisonante e maestosa, dandoci assalti ad alto volume dove i terremoti di chitarra sovrastano il drummming come sempre massacrante e dai tempi inumani, mentre la voce di Aspa è possibilmente ancora più mostruosa rispetto a prima, dandoci quindi una performance complessiva che è forse la migliore mai offerta dal gruppo.

Il disco si apre con la Title Track e con le sue atmosfere sacrali potenziate poi da epici corni distorti e linee da colonna sonora; di seguto parte un familiare arpeggio dissonante seguito dal basso, il quale non può che esplodere in un bombardamento di ritmica forsennata, riff circolari a mille all'ora, e ruggiti vocali da demone. Non mancano sezioni più melodiche, ma sempre dalla velocità spericolata, così come cesure rallentate dove è l'elemento progressivo a dominare, il tutto sempre con una tecnica che ha dell'incredibile; caos ed ordine si alternano, così come furia e tranquillità, in un pezzo che mette subito in chiaro la natura dell'album. “Famished For Breath” tiene perfettamente fede al suono nome e ci assale sin da subito con attacchi di chitarra e batteria dalle bordate terrorizzanti, mentre Aspa diventa un demone schizofrenico; un tour de force claustrofobico dove solo le dosate melodie dissonanti ci danno respiro, mentre maestosi rallentamenti offrono torrenti di riff circolari come motoseghe gelide. I Nostri riescono allo stesso tempo a distruggerci ed ammaliarci, creando una confusione organizzata che è il loro marchio di fabbrica, portando sul tavolo tutta la loro tecnica, fondendola con il resto del loro repertorio; in alcune parti viene in mente il compagno di etichetta Arioch dei Funeral Mist (o Mortuus dei Marduk se preferite la sua veste più famosa), ma il tutto con uno stile inimitabile. Ecco anche malinconici arpeggi sorretti dai rullanti di batteria, i quali chiudono questo viaggio nell'oscurità; segue “Onward Where Most With Ravin I May Meet”, al quale invece riprende gli elementi post rock di “Paracletus” nella sua introduzione giocata sul basso greve e sui fraseggi squillanti, presto però violata da una corsa ritmica che sembra una tempesta di incudini provenienti dal cielo. Aspa si da a vocals cavernose e rabbiose, mentre il songwriting ci disorienta con continui cambi di tempo che collimano in una cesura dir accoglimento caratterizzata da movimenti dagli arpeggi ammalianti e dai rallentamenti progressivi; ma il lungo brano (oltre dieci minuti) offre diverse sorprese, tra assalti continui e sezioni trascinanti dai montanti decisi, e non mancano addirittura momenti che non stonerebbero in un disco prog, slavo per l'atmosfera da messa nera ed i ruggiti del cantante. All'improvviso effetti spettrali ed un andamento quasi industriale generano un terremoto che va a collimare in un giro di basso sovrastato da follie stridenti, in un'apocalisse sonora che è delirio puro; si riprende poi con gli andamenti precedenti andando a degenerare nel caos finale sorretto da un riffing decisamente black e dal drumming dritto, incensato da un ultimo gioco melodico nella conclusione. Il lavoro si chiude con “Internecine Latrogenesis”, la quale ci accoglie con un andamento roboante che vede l'alternanza di giri di chitarra ed assalti di batteria; esso viene intervallato da cavalcate dritte e parti dominate dalle dissonanze ariose, mentre Aspa raggiunge livelli di bestialità dalle nuove vette. Non mancano ritornelli che in qualche modo evocano un'epica melodia incastonata nei vortici continui, ancora una volta chiamando in causa l'abilità dei Nostri; l'elemento black è ben vivo nei suoni freddi e negli assalti di doppia cassa martellanti. Fraseggi progressivi e torrenti di batteria duellano tra di loro, in una tensione sempre costante, trascinandoci in un allucinante viaggio nell'oscurità coronato nel finale dalla ripresa die toni cinematografici di inizio disco, tra canti gregoriani e corni maestosi, mentre un rullante sottintende il tutto portandolo nel suo climax.

Un lavoro che risulta decisamente molto più che una collezione di brani: la sua durata, la posizione dei brani, gli elementi usati, il crescendo sia interno dei pezzi sia a livello di sequenza tra essi, l'uso più dosato di elementi esterni ed interludi, le vocals curate al dettaglio, offrono un'opera calibrata fino al minimo dettaglio, fatta per suonare così come suona, e per lasciare l'ascoltatore stordito, ed allo stesso tempo estasiato. Chi non ha mai digerito il gruppo, non lo farà di certo ora, chi già li ama, troverà qui una conferma che offre a livello tecnico e di songwriting non certo la loro opera più aliena (probabilmente “Fas….” detiene il primato), ma quella che porta a compimento tutta una serie di elementi sperimentati negli ultimi lavori del gruppo, evitando qui durate complessive troppo asfissianti o stacchi eccessivi all'interno dei pezzi; una produzione dal budget tutto tranne che underground (ma per fortuna non di plastica) certo fa la differenza, e fa pensare che le voci riguardo al benestare della mente del gruppo nella vita privata grazie ad un lavoro lucrativo nel campo immobiliare non siano così infondate, ma il songwriting è frutto di una crescita costante che continua ancora oggi, mostrandoci un gruppo che probabilmente rimarrà sempre un mistero, ma che non si appoggia certo sugli allori, decidendo quando e come manifestarsi senza urgenze e pressioni. Speriamo di risentirli presto, ammesso che torneranno, con loro nulla è scontato. Uno degli album dell'anno in campo estremo, e non solo.

Recensione a cura di: Davide Pappalardo 
Voto: 90/100

Tracklist: 
1. The Synarchy of Molten Bones 06:58 
2. Famished for Breath 06:10 
3. Onward Where Most with Ravin I May Meet 10:12 
4. Internecine Iatrogenesis 05:52

DURATA TOTALE: 29:12

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