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CANDLEMASS "The Door To Doom" (Recensione)


Full-length, Napalm Records 
(2019) 

Che mannaia alla miseria, io ai Candlemass ho sempre voluto un mondo di bene. Sono un gruppo che ho sempre rispettato, fanno un genere che mi attrae, sono sempre stati dei seri professionisti, non hanno mai cannato un cantante. Eppure, non mi hanno mai fatto innamorare, nonostante dei pezzi che sono indubbi capolavori e dischi sempre interessanti: almeno negli anni passati, perché è da un bel po' di tempo a questa parte, da quando hanno recuperato esattamente lo stile degli inizi, che le ciambelle non gli riescono col buco. 

Forse dovevano davvero farla finita col precedente “Psalms for the dead” del 2012, esattamente come avevano promesso. Ed invece no, ancora una volta il buon Leif Edling resuscita la sua creatura. Mettendo in cantiere un album che, sin dalle premesse, vuole essere più realista del re: non solo la copertina è praticamente una riproposizione dello storico debutto “Epicus Doomicus Metallicus” (un po' troppo, verrebbe da dire!), ma arriva persino a riportare in vita quel Johan Langquist che, dopo aver cantato nel loro debutto nel 1986, non ha poi praticamente fatto quasi più niente (musicalmente parlando). 
In “The door to doom” non troverete altro che del metallo pesante, epico e quadrato, esattamente come quello che suonavano nei loro primi giorni e che, bene o male, hanno sempre suonato nel corso degli anni, ogni tanto con qualche influenza più stoner rock qui e lì. E non è che sarebbe questo un problema per sé, ma ancora una volta manca l'ispirazione. Quantomeno, abbastanza ispirazione da supportare il disco per intero. 

Il redivivo Johan fa un ottimo lavoro – e pensare che persino nel 1986 era solo un session man! - e non fa rimpiangere i suoi predecessori, pur non essendo il miglior frontman che abbiano mai avuto; troviamo persino la chicca di un assolo di sua maestà Tony Iommi in “Astrorolus ...” (ma i Cathedrail li avevano già preceduti oltre venti anni fa in un pezzo che era tutt'altra roba) ma, alla fine, l'effetto nostalgia non può di certo sostituire la sostanza. E quella, tutto sommato, latita un po', a meno che non vi accontentiate di un disco che, come i suoi immediati predecessori, sembra vivere più per il suo essere un manifesto di intenti che non per la bellezza intrinseca dei suoi pezzi. 

Recensione a cura di: Fulvio Ermete
Voto: 68/100

Tracklist:
1.Splendor Demon Majesty 05:29 
2.Under the Ocean 06:13 
3.Astorolus - The Great Octopus 06:42 
4.Bridge of the Blind03:44 5.Death's Wheel 06:51 
6.Black Trinity 06:05 
7.House of Doom 06:27 
8.The Omega Circle07:17 

DURATA TOTALE 48:48

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