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DYLAN DOG 666: Analisi dal n.401 al n.406


Immaginate di aver avuto una lunga relazione con una donna, una di quelle che sono partite con grande passionalità e trasporto, ma che da un certo punto in poi sono diventate inevitabilmente routinarie. Immaginate quindi che in maniera consensuale abbiate deciso di troncare il rapporto. All’inizio vi sentirete molto spaesati. Dopo un po’ di tempo vi imbattete però in una nuova donna, per certi versi simile a quella che avete amato; in fondo le cose che vi attraggono sono sempre più meno le stesse. Per altri aspetti invece è diversa, una diversità che vi attrae e che vi regala nuovi stimoli. Passato poco tempo, la passione vi prende di nuovo e ci andate a letto. 


Dopo aver consumato il primo rapporto pensate: “ho amato la mia ex, ci ho fatto l’amore con tanta passione, però ora sto avvertendo emozioni che non sentivo da tempo”. Ecco, questa è la sensazione che ho provato leggendo il numero 401 di Dylan Dog, il primo del mini ciclo Dylan Dog 666. Con il 666 parte un nuovo corso, una nuova continuity, che conserva alcune cose del passato, ma ne introduce nuove. E’ un Dylan anche autobiografico. Il suo modo di essere più deciso, l’amore per le citazioni, il raccontare la sua passione per tantissime forme d’arte (videogames compresi), il cappotto, la barba, insomma è molto simile al suo curatore Roberto Recchioni. Ma del resto se voi aveste la possibilità di rifondare un personaggio del genere, non ci mettereste qualcosa che parli di voi, quanto meno in una vostra sceneggiatura?


Nel numero 402 si chiude la prima storia di questo nuovo corso, che aveva avuto inizio nel 401. In questo ideale secondo tempo ci vengono fornite altre coordinate necessarie ad inquadrare il nuovo Dylan. La matita di Roi tratteggia sapientemente la porzione di storia che più afferisce al vecchio numero 1 “l’alba dei morti viventi, viceversa quella di Dossena inquadra il flashback in cui Dylan racconta di quando era guardiano del cimitero di Undead, riprendendo quindi la vicenda primigenia di Dellamorte Dellamore. A differenza della sceneggiatura di Sclavi entra subito in gioco una figura che nella precedente vita di Dylan venne introdotta solamente nel numero 43 “Storia di nessuno”. Si tratta appunto di Nessuno, che è uno strumento nelle mani di Xabaras. Al negromante non sfugge il quadro di tutta la vicenda: è lui che racconta a Dylan di come le loro storie sono sempre legate, nella realtà che vivono in questo albo, ma anche in infinite altre. Nessuno sembra rappresentare una specie di punto di contatto tra gli universi dylaniati. La nuova “alba di morti viventi” lascia poi il passo al nuovo “Jack lo Squartatore con le tavole di Mari che introducono la successiva storia, che viene completata nel 403. 


Il parallelismo tra la versione 666 di Jack e quella dell’originario numero 2 è d’obbligo, ma attenzione: nel 403 c’è un breve omaggio al numero 3 e si introduce la nuova versione del numero 4. Il titolo dell’albo infatti rimarca che nella narrazione entrano in gioco diversi temi e personaggi, cosa che si evince anche dalla copertina, dove abbiamo una lama affilata e un lupo mannaro che ulula alla Luna. Anche in questo 403 sono presenti citazioni e rimandi, da segnalarne soprattutto due cinematografiche: un Romero che diventa a sua volta zombie e il cinema che trasmette “Non aprite quella porta”. Veniamo al personaggio Dylan; quello del 2 appariva ancora acerbo, persino nelle fattezze non ancora perfettamente inquadrate, nel 403 conferma la sua sicurezza, il suo disincanto, è persino muscolare nelle sue azioni. Come gesto sacrilego verso la tradizione beve un bel boccale di birra, anche se pure nel 2 si concedeva una birretta. Significativo il fatto che il cattivo di turno (l’orco del titolo) gli debba ricordare che “i mostri siamo noi”. A questa conclusione non giunge quindi tutto da solo. Si avverte la presenza di Groucho, che continua ad aleggiare come uno spettro di cui però si iniziano a vedere i contorni. 


Il numero 404 è l’omologo del 4 “Il fantasma di Anna Never”, anche in questa nuova vicenda Anna Never s'innamora ricambiata di lui. Dylan ed Anna addirittura si sognano, creando una corrispondenza di amorosi sensi ancor prima di incontrarsi. Quando accade, diventa naturale che il rapporto diventi subito concreto e molto carnale. Nella realtà (sempre che esista la realtà in una storia di Dylan) la ragazza dopo poco tempo si troverà purtroppo da sola nel letto. Dov’è finito l'Old Boy? La parte più tragica della loro storia è illustrata da vignette prive di testo, che la rappresentano con la stessa efficacia e romantica tragicità di un film muto. A chiudere la vicenda c’è la rivelazione che Anna Never è solamente una delle due facce di una medaglia, l’altra è la peggiore antagonista che ha mai avuto Dylan Dog: Mater Morbi. Per la prima volta il vecchio Dylan di Sclavi si congiunge con l’ultimo di Recchioni. Capitolo citazioni: abbiamo Gnaghi capace di passare da “Love Actually” alla “Critica della ragion pura” di Kant. Infine Dylan cita un suo cinico collega di Liverpool: Constantine, questo in previsione di un futuro incontro tra i due. 


Anche il 405 richiama nel titolo il corrispondente 5, ma lo modifica da “gli uccisori” in “l’uccisore”. A sottolineare questo cambio di orizzonti c’è l’immagine in copertina in cui Dylan punta la pistola verso il lettore e degli schizzi di sangue fanno pendant con la sua camicia rossa. Il tutto è ancora messo di più in risalto da uno sfondo giallo che ruba l’occhio. Leggendo scopriamo però che il remake de “gli uccisori” occupa solamente la prima parte dell’albo. In realtà la quota parte di pagine più grande è dedicata all’indagine su questo misterioso comico serial killer, che ha l’identità di una vecchia conoscenza. Chiusura d’albo infine occupata dall’incipit della prossima storia. Le favolose tavole di Corrado Roi propongono il confronto tra il DylanDog 666 e quello tradizionale, l’escamotage per distinguerli è la presenza o meno della folta barba. 


Con il 406 il mini ciclo narrativo giunge alla conclusione. In quest’ultimo episodio Dylan finalmente si ritrova vis à vis con il comico assassino. Riderà bene chi ride ultimo? La struttura della vicenda è tipicamente recchioniana: tavole favolose, citazioni e rimandi, didascalie e dialoghi essenziali, azione, sensualità. Alcuni dopo averlo letto avranno certamente pensato, non senza un pizzico di sarcasmo, che è stato “tanto rumore per nulla”. Il problema è che il fan del fumetto ha spesso una visione dello spazio tempo marcatamente lineare: c’è un inizio, un'evoluzione di eventi e una fine. La consequenzialità, il rapporto di causa-effetto, è predominante rispetto al lato artistico e fantasioso. In realtà la concezione lineare è più recente rispetto a quella circolare del tempo, che nell’antica Grecia era dominante. I greci non si affannavano troppo a studiare le dinamiche degli eventi, poiché per loro tutto si ripeteva. Il ciclo 666 si conclude lasciando alle spalle sei lavori di ottimo livello. Le sceneggiature sono state tutte scritte dal curatore Recchioni e quindi danno impressione di organicità. Alla fine il Dylan che ne esce fuori è meno rivoluzionario di quello che era stato immaginato dopo il primo numero, ma è certamente diverso da quello sclaviano. Groucho torna a occupare il posto al suo fianco, lasciando a Gnaghi un ruolo limitato nel tempo. Rania, Carpenter e Bloch sono ancora presenti, sebbene con ruoli e dinamiche personali diverse rispetto alle originali. Nel passato di Dylan si assesta la sua esperienza al cimitero, che quindi richiama definitivamente l’idea originale di Sclavi per Dellamorte. Alla barba viene infine dato un taglio, è stata una fascinazione hipster durata poco tempo. Ultima considerazione sull’aspetto puramente artistico. Da questo punto di vista la qualità delle tavole di Dylan è ormai più che eccellente. Pontrelli, Gerasi, Dossena e Mari hanno dato il meglio, mentre per il Maestro Roi ormai sono finiti gli aggettivi. Variopinte, moderne e originali le copertine di Cavenago. 

Recensione a cura di Antonio Montagnani (fotoinutili75)
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