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HORNA "Kuoleman Kirjo" (Recensione)


Full-length, World Terror Committee 
(2020) 

La decima fatica sulla lunga distanza dei colossi del black metal finlandese che rispondono al nome di Horna, nonché loro cinquentesima release ufficiale, si intitola “Kuoleman Kirjo” (letteralmente “Lo spettro della morte”) ed è uscita lo scorso 8 dicembre sotto l’etichetta tedesca W.T.C., segnando così il ritorno sulla scena della band formata da Shatraug nel lontano 1994 dalle ceneri degli Shadowed, a cinque anni di distanza dal non certo memorabile “Hengen Tulet” e a due dall’EP “Kuolleiden Kuu”. L’album fornisce l’occasione di battezzare i due nuovi innesti nella line-up, LRH dietro le pelli e VnoM al basso, oltre che di verificare quanto in realtà Shatraug e compagni abbiano ancora da dare al panorama estremo scandinavo dopo averne rappresentato uno dei più gloriosi e prolifici episodi dell’ultimo ventennio. La verità è però che gli Horna non sembrano invecchiare ed anzi migliorano con il passare del tempo, perfezionando il sound bestiale ad alto contenuto satanico che è il loro marchio di fabbrica ed affinandolo senza tuttavia smarrirne l’essenza maligna originaria, che in quest’ultimo lavoro sembra assumere contorni ancor più nitidi e spettrali. “Kuoleman Kirjo” conta trecici tracce di medio-lunga durata, per un totale di oltre sessantacinque minuti che incarnano alla perfezione l’ideale blasfemo e letale della band, nonostante si avvertano al primo ascolto tutti i ventidue anni trascorsi dal debutto “Kohti Yhdeksän Nousua”, e non è certo un peccato: il sound è assai più nitido e il muro di chitarre di Shatraug e Infection più massiccio e definito, il riffing risulta oscuro e al contempo melodico e la batteria di LRH pesta con una violenza inumana, ma il più marcato miglioramento si nota nello scream di Spellgoth, la cui maturazione nel canto è il vero punto di forza dell’album, risultando talvolta demoniaco e in altri frangenti lacerante, rauco e allo stesso tempo nitido, mai scontato. 

Le atmosfere dell’intero lavoro sono pregne di oscurità, anche nei passaggi più contenuti e melodici, e la malvagità che sprigiona ogni singola nota è semplicemente spiazzante: i frequenti rallentamenti conducono l’ascoltatore nell’infernale abisso che è nel significato stesso del nome del gruppo, quanto mai adatto a rappresentare una release di questo tipo. L’album si apre con il furioso brano di lancio “Saatanan Viha” (“L’ira di Satana”), che preannuncia come da titolo la tempesta di fuoco e fiamme che seguirà, investendo di brutalità l’ascoltatore sin dai suoi primi vagiti, senza concedergli tregua; le chitarre taglienti scalfiscono ferite nell’animo impossibili da risanare e lo scream di Spellgoth giunge all’orecchio infernale e diabolico, facendosi cocchiere di una carovana di malvagità e di orrore che conosce appena qualche interruzione, giungendo ad una parte finale feroce e martellante. La velocità dimuisce appena con la successiva “Elegia”, il cui mid-tempo è accompagnato da uno scream disperato e catacambale che crea un malsano connubio con il principale, assai più tetro e diabolico, mentre riffing oscuri dai contorni atmosferici guidano la traccia verso la veemente accelerazione centrale, che dopo una breve pausa lenta ed opprimente viene ripresa in un lungo finale serrato dal richiami epici. La terza traccia “Uneton” (“Insonne”) sembra invece la descrizione di un incubo notturno, poiché la sua atmosfera tetra e sinistra, scandita da chitarre quanto mai oscure ed abissali, viene amplificata dalla lentezza dominante del brano, dall’andatura quasi funerea, che una volta accelerato vomita tutta la sua rabbia con un cantato catacombale spaventoso e una batteria fulminante, plancandosi di nuovo poco dopo per poi nuovamente martellare senza mai perdere l’atmosfera tenebrosa che domina ogni singola nota del pezzo, il migliore della release a mio avviso. A seguire troviamo la lunga e tragica “Sydänkuoro” (“Coro del cuore”), che raggela il sangue nelle vene in una parte centrale ove sopra il muro di chitarre lente e cupe e lo scream infernale di Spellgoth si alza un coro demoniaco e spettrale che conduce ad un finale dal riffing gelido e dall’atmosfera assai opprimente.

Il lavoro prosegue alla stregua della malvagità dei primi tre brani, alternando blast-beat e chitarre taglienti dai richiami svedesi a mid-tempo in puro stile Horna, con sporadici rallentamenti che non fanno che intensificare l’atmosfera opprimente della release; una testimonianza di tale dualismo la troviamo nella violenza scandita da riffing gelidi e avvolgenti di “Kärsimysten Katedraali” (“La cattedrale della sofferenza”), a cui segue il secondo singolo “Haudattujen Tähtien Yönä” (“Sepolto in una notte stellare”), più melodico e ragionato e con un cantanto semi-pulito in stile gregoriano dai richiami pagan metal, che diviene nel finale un coro dai contorni epici e tetri di grande impatto. “Rakas Kuu” (“Cara luna”) ritrova tutta la violenza dei giorni migliori, feroce e martellante e dal riffing letale, interrotta da una lunga parte centrale oscura e tetra, dai contorni doom metal e dalle atmosfere funeree, che riprende concludendosi la veemenza iniziale. Poche variazioni si riscontrano negli episodi successivi dell’album, il cui spirito blasfemo e furente rimane intatto; spiccano tra le altre cose il bestiale refrain urlato di “Pyhä Kuelema” (“Santa morte”) e le raggelanti linee di chitarra di Infection e Shatraug, nelle loro espressioni più sinistre e avvolgenti, della successiva “Veriuhri” (“Sacrificio di sangue”) . In chiusura troviamo l’oppressiva “Ota Minut Vastaan” (“Accoglimi / Prendimi con te”), un salmodio dalla ritmica lenta e dall’atmosfera annichilente che sembra contenere una esplicita richiesta al Signore Oscuro, Re delle Ombre; il canto gregoriano rituale che la caratterizza la rende lugubre e sinistra, quanto mai cupa, e lo scream di Spellgoth qui si mostra in tutta la sua malsana disperazione, pronto a penentrare il regno delle fiamme e dalla morte e lì giacere in eterno. Il decimo album in studio degli Horna rappresenta l’ennesima conferma della crescita tecnica e stilistica della prima delle due creature di Shatraug (padre fondatore anche dei noti Sargeist), che non sembra intenzionata ad interrompersi e che raramente ha mosso passi falsi nella sua lunga e prospera carriera. Il cantato di Spellgoth sembra qui aver raggiunto una qualità insuperabile, variando frequentemente ed assumendo contorni e sfumature diversi a seconda del brano, mentre le due chitarre si uniscono in una perfetta fusione melodica e tecnica, risultando graffianti come non mai; si presenta bene dietro le pelli LRH, che dona alla sua batteria una ferocia priva di qualsiasi titubanza, facendola risultare dura e pesante anche negli sporadici momenti di quiete. 

L’unico difetto della release, a mio avviso, è rappresentato dalla sua eccessiva lunghezza: sessantasette minuti e tredici brani sono forse troppi per un lavoro con così poche variazioni, che dall’inizio alla fine non molla mai la presa e sfodera blast-beat e riffing serrati da ogni parte. “Kuoleman Kirjo” è comunque da ritenersi uno dei tanti capolavori degli Horna, affatto disposti a vivere di memorie e lasciar posto alle nuove leve, poichè essendo tra i pochi superstiti dell’era d’oro del black metal che ancora si confermano su livelli così alti, se lo possono permettere. La nera fiamma degli Horna, lo possiamo dire, è più viva che mai. 

Alessandro Pineschi
Voto: 84/100

Tracklist:
1. Saatanan viha 
2. Elegia
3. Uneton 
4. Sydänkuoro
5. Elävänä, kuolleena 
6. Kärsimysten katedraali 
7. Haudattujen tähtien yönä  
8. Rakas kuu 
9. Unohtumaton
10. Mustat vuodet 
11. Pyhä kuolema 
12. Veriuhri 
13. Ota minut vastaan

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