KORN "Requiem" (Recensione)
Full-length, Loma Vista Recordings
(2022)
I Korn non hanno bisogno di presentazioni, anzi, molti hanno cominciato ad approcciarsi al Metal attraverso Korn e Slipknot: devo dire che fu così anche per me e che ricordo il loro primo album omonimo (1994) e "Follow the leader" (1998) come i miei primi dischi Metal in assoluto. Cosa poteva piacere del Nu Metal a una tredicenne? Beh, in quei pezzi trovavamo tanta rabbia, tanto disagio esistenziale e quelle sonorità che, in fondo, erano un misto tra Hip-Hop e musica più pesante venivano perfettamente incontro a quella fetta di adolescenti che volevano distinguersi dalla subcultura Emo; c’è da dire che la componente aggressiva presente nei testi dei Korn giocava un ruolo fondamentale: eravamo arrabbiati e trovavamo nella loro musica uno sfogo alle nostre frustrazioni da adolescenti. Questo poteva essere vero almeno fino a un certo punto della loro carriera artistica: dopo un po’ la rabbia finisce e, spesso le idee.
"Requiem" esce il 4 febbraio 2022, lanciato dai singoli “Forgotten”, “Start the Healing” e “Lost in grandeur”. Stando alle dichiarazioni della band, il disco avrebbe lo scopo di “accompagnare l’ascoltatore in un viaggio” e, complice la recente pandemia, l’album si presenta più introspettivo rispetto ai Korn a cui siamo abituati. Ma è davvero così? Prendendo la prima traccia, “Forgotten” per l’appunto, si nota subito la batteria, accompagnata dal giro di basso di Fieldy, a cui l’ascoltatore medio della band ha fatto l’orecchio milioni e milioni di volte, passando a “Start the Healing”, si nota subito una certa somiglianza tra l’intro del pezzo in questione e quello del meno recente “Coming Undone”. Sempre rimanendo sulla scia dei singoli tratti da "Requiem", in “Lost in grandeur” la band utilizza parte di una base Dubstep, già assodata nel featuring con Skrillex del 2012 (penso che tutti ricorderete il famoso pezzo “Get Up”). L’impressione che se ne ricava è che "Requiem", o almeno i singoli proposti, sia in realtà un “copiare sé stessi” da parte dei Korn, il che potrebbe funzionare con i fan più accaniti, tradendo però la “natura” introspettiva del disco.
E proprio sull’introspezione di "Requiem" si dovrebbe aprire un capitolo a parte: si inizi con il dire che la vocalità usata da Jonathan Davis è essenzialmente pulita e melodica; raramente si lascia andare all’ibrido tra lo screaming e il rappato che lo ha sempre caratterizzato. Prendendo quella che forse è la traccia più introspettiva del disco e, forse, anche la più riuscita, ossia “Let the Dark Do the Rest”, la voce melodica si fonde a dei cori, creando l’effetto introspettivo che rappresenta il vero obiettivo di "Requiem"; il problema viene fuori in “Disconnected”, pezzo con un enorme problema, ovvero il senso di noia e di ripetitività a cui viene sottoposto chi ascolta. In “Disconnected” Davis alterna la vocalità che gli è propria con un pulito anche troppo melodico e, in aggiunta a ciò, il ritmo si mostra alquanto statico. I problemi del pezzo in questione sono essenzialmente due: nonostante duri appena tre minuti, data la sua staticità di fondo, l’ascoltatore ha la netta sensazione che ne duri il doppio, a ciò si aggiunga che il testo e l’alternarsi delle due vocalità viene riproposto quasi all’infinito, ciò potrebbe portare chi ascolta a interrompere del tutto il “viaggio” che i Korn avevano intenzione di proporre con "Requiem".
Un piccolo appunto concernente la staticità del disco riguarda anche i testi: la parola "sick" è usata, anzi abusata nel disco; quanto detto conduce a una conclusione lapalissiana: "Requiem" parte con l’intenzione di essere un album introspettivo, ma, come si suol dire, “tra il dire e il fare c’è in mezzo il mare”, per cui il disco risulta essere alla lunga troppo ripetitivo e ne consegue una certa mancanza di idee. Conosciamo tutti i Korn arrabbiati e "Requiem" poteva dare alla band un modo per mostrare il suo lato intimista anche a livello musicale, ma non tutti i viaggi sono piacevoli da ricordare, specialmente se il compagno di viaggio è particolarmente abitudinario oppure continua a ripetere le stesse cose durante il tragitto. Insomma, la band ha sprecato un’enorme occasione per essere “di buona compagnia”.
Eleonora Federici
Voto: 45/100
1. Forgotten
2. Let the Dark Do the Rest
3. Start the Healing
4. Lost in the Grandeur
5. Disconnect
6. Hopeless and Beaten – 3:59
7. Penance to Sorrow – 3:20
8. My Confession – 3:34
9. Worst Is on Its Way – 4:03
Line-up:
Jonathan Davis – voce
James "Munky" Shaffer – chitarra
Brian "Head" Welch – chitarra
Reggie "Fieldy" Arvizu – basso
Ray Luzier – batteria
Web:
Sito Ufficiale
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