Vuoi qui il tuo annuncio? Scrivi a: hmmzine@libero.it

Machine Head "Unto the Locust"

Full-length, Roadrunner Records, 2011  
Genere: Thrash/Groove Metal

Bisogna ammettere quanto l'andamento della carriera dei Machine Head sia singolare, se la si esamina volgendo lo sguardo indietro a partire dal recente 2011.
Pensateci bene: chi avrebbe mai scommesso su questi musicisti di Oakland, chi li degnava di tante grandi attenzioni prima del 2007? Fu quattro anni fa infatti, con l'uscita di "The Blackening", che la band rinacque e assieme esplose nel grande successo di cui gode tuttora, incendiando più di prima i palchi di mezzo mondo e moltiplicando le proprie vendite!

Non poteva essere altrimenti d'altronde, il lavoro era perfetto senza ombra di dubbio: dei Machine Head ispiratissimi e in piena forma, un Robert Flynn strepitoso nella prestazione vocale, nel chitarrismo e nell'eccellente composizione, un album tecnico, complesso e dotato della potenza di uno schiacciasassi, oltre che aggressivo e intelligente anche nel messaggio. La domanda che ci poniamo è "Perchè solo allora?"; dopotutto quasi 15 anni di attività precedevano quest'episodio e non stiamo parlando certo di ragazzini che hanno ancora incertezze su come impugnare i loro strumenti: lo stesso Flynn e Phil Demmel militavano nei mitici Vio-lence (dalle cui ceneri poi nacquero gli stessi Machine Head) già dal lontano 1987.

L'esordio del 1994, "Burn My Eyes", inciso per la Roadrunner, rimane tutt'oggi un grande esempio di metal moderno degli anni '90, una personalissima rivisitazione del sound thrash-core esploso definitivamente con l'operato degli inarrivabili Pantera, che oscillava tra suoni più crudi e moderni e rimandi alla Bay Area, riuscendo così ad accontentare un po' tutti.
Quindi neanche si tratta di una band rimasta nell'ombra, tutt'altro: questi musicisti hanno contribuito a loro modo a scolpire la musica heavy nel suo sviluppo dopo il tramonto dei prolifici anni '80. I Machine Head dunque sono sempre esistiti, ma l'hanno sempre fatto vivacchiando, sguazzando nel brodo della mediocre notorietà. In fin dei conti la carriera di questa band sapeva come di una promessa lanciata dal debutto ma non mantenuta in seguito e questo andamento discontinuo può essere spiegato in un unico modo: probabilmente Flynn e compagni non hanno avuto da subito le idee molto chiare e realizzato appieno qual era la loro strada, deviata anche e soprattutto dalle influenze vagamente alternative/grunge (e quasi nu metal a seguire) che erano comparse già dal secondo "The More Things Change", le quali oggettivamente hanno via via convinto sempre meno oltre che considerevolmente rallentato il rendimento del gruppo fino all'uscita dell'incerto "Through the Ashes of Empires".

Mentre rifletto su tutto questo, immagino quanti fan titubanti si staranno chiedendo se "The Blackening" nella sua bellezza era stato solo un bagliore nel buio, un episodio isolato, stringendo tra le mani la loro copia del nuovo "Unto the Locust", acquistato a scatola chiusa; è giunto dunque il momento di rassicurare tutti: sì i Machine Head nel 2007 avevano davvero imboccato il sentiero giusto, in parte riallacciati alle loro storiche origini, in parte notevolmente evoluti, e "Unto the Locust", che rimescola nuovamente le carte in tavola, ne è la prova. Questi sono musicisti animati da idee originali e coinvolgenti, strumentalmente dotatissimi, al passo coi tempi ma con un bagaglio da veri veterani (da qui la loro abilità nel congiungere old school e modernismo).
Il nuovo è un album non meno esaltante del precedente, un lavoro allo stesso modo completo: potenza, melodia, originalità e varietà; pesantezza e brutalità ma liberate sempre con un filo di razionalità, insomma tutto quello che si chiede ad un album metal che si rispetti, richiesta che purtroppo in tempi odierni è soddisfatta raramente.

La formula è la medesima: metal moderno carico di groove e venato di hardcore, dal tiro marcatamente thrasheggiante, che mai perde di vista la melodia e certi richiami al metallo più classico; brani lunghi e tecnici, ma in questo caso, per quanto complessi, più rockeggianti e immediati rispetto a quelli contenuti in "The Blackening", soprattutto meno tirati e veloci, meno d'assalto.
L'album ha quindi un mood meno classicamente metal rispetto al precedente, ma più rock, per quanto la violenza dell'impatto sonoro rimanga invariata: l'apertura con "I Am Hell (Sonata in C#)" lo dimostra partendo da malinconici cori che vengono subito schiacciati da un lento e pesantissimo riff che rimanda ai Pantera più struggenti, per poi sfociare in una velocissima cavalcata speed thrash dal ritornello irresistibile; seguono "Be Still and Know", col suo iniziale fraseggio Maideniano, e "Locust", che riecheggia maggiormente la forma canzone, brani dai refrain e ritornelli anthemici e melodici, fatti per esser cantati a squarciagola, mentre "Darkness Within" col suo riff acustico dal sapore vagamente grunge, fa come un verso ai suoni della ballad e vede Robert Flynn dare ancora prova della sua grande versatilità vocale...si srotolano poi giù i travolgenti riff di "Pearls Before the Swine" e della finale "Who We Are" (addirittura aperta da un coro di bambini), riff leggeri come le ruote di un trattore sulle costole, ma sempre squarciati da aperture orecchiabili, e a questo punto il disco si chiude con un elegante inchino della ributtante locusta antropomorfa che striscia sulla provocatoria copertina.

"Unto the Locust" è indubbiamente un album di qualità elevata, ma rimane comunque un lavoro particolare, non immediatamente fruibile; scavando nel profondo però, chi ama il metallo pesante, coinvolgente e trascinante, e lo segue anche nei suoi sviluppi più moderni, troverà l'ascolto dei Machine Head di oggi soddisfacente come pochi altri.


Recensione a cura di: Static Chaos
VOTO: 86/100

Tracklist:
1. I Am Hell (Sonata in C#) 08:25
2. Be Still and Know 05:43
3. Locust 07:36
4. This Is the End 06:11
5. Darkness Within 06:27
6. Pearls Before the Swine 07:19
7. Who We Are 07:11

DURATA TOTALE: 48:52


Nessun commento