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HRYRE "From Mortality To Infinity" (Review)

Full-length, Code666 Records
(2016)

Vituperata, sbeffeggiata, odiata (da me in primis) per la spersonalizzazione del mondo della musica, ma allo stesso tempo mezzo vitale per le band emergenti: è la Rete, disseminata a sua volta di piattaforme di label indipendenti e con esse le sorprese che riservano. È il caso di questo debut di lusso dei britannici Hryre (rovine, in anglosassone), fuori per Code666 (una costola della Aural Music).
Premesso che avevo sbirciato il catalogo della label che ha dato vita ai capolavori di Messa e Arcana 13 alla ricerca di un’altra release doom/occult, e che dunque sono (piacevolmente) incappato in questo trio quasi per caso, devo dire che i nove pezzi presenti su “From Mortality To Infinity” hanno una carica evocativa non indifferente, che piacerà sia ai blacksters più intimisti che ai deathsters alla continua ricerca di melodie grattugiose di scuola scandinava. Eh sì, non solo black metal (atmosferico o no) nella formula degli Hryre, ma una passione per il rifferama di scuola Hellid/Cederlund che mi ha piacevolmente colpito al primo ascolto.

Nati nel 2013, dopo il primo demo approdano a questo debut che ne espone appieno le potenzialità, con un sound alla continua ricerca di soluzioni oscure (in questo, le chitarre tirate del black sono insuperabili) ma con vocals più vicine al death di quanto la tradizione Nera abbia mai consentito. Libere da qualsiasi integralismo, le narrazioni degli Hryre prendono a piene mani dalla gloriosa tradizione albionica, mescolando il sound estremo con filoni più “classici” ma altrettanto incisivi, come il prog e il folk. La passione per un idioma arcaico come l’Old English e per le parti narrate (mai invasive) fa il resto. Non aspettatevi una copia degli Skyclad, però: il tipico viking sound è lungi dal dilagare su “From Mortality To Infinity” (se non nella conclusiva cavalcata finale “Return to Earth”) rappresentando piuttosto uno dei valori aggiunti di un disco dal sound specificatamente e innegabilmente death/black.

In questo senso, le variazioni di “Devastation of Empires” parlano da sole, legate come sono a doppia mandata al death scandinavo di scuola Nihilist, Entombed e (primi) Unleashed, così come il mefitico incipit di “Plagues on Ancient Graves”. I piacevoli sconfinamenti nel mondo dell’HM 2 (mitico pedale caro ai chitarristi svedesi!) hanno però come contraltare il grido disperato di “Alive Beneath the Surface”, la furia nera di “Regressed States of Malice”, dall’opening freddo come solo i conterranei Godflesh sanno fare, e la variazione dal sapore prog/folk guidata dalle tastiere nella sfuriata finale di “Lamenting the Coming Dread”. Un album che avrei visto bene come release Iconoclast dei tempi d’oro, un plauso alla nostrana Code666 per aver raccolto questa gemma.

Recensione a cura di: schwarzfranz 
Voto: 80/100 

Tracklist:
1. Inauguration 01:03
2. Devastation of Empires 06:21
3. Plagues on Ancient Graves 06:50
4. Alive Beneath the Surface 08:00
5. Cast into Shade Part One (Farewell) 04:56
6. Cast into Shade Part Two (Black Sun) 14:18
7. Lamenting the Coming Dread 09:35
8. Regressed States of Malice 06:57
9. Return to the Earth 08:18

DURATA TOTALE: 01:06:18

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