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BLUT AUS NORD / ÆVANGELIST "Codex Obscura Nomina" (Recensione)

Split, Debemur Morti Productions
(2016)

Blut Aus Nord è un nome sicuramente non nuovo per gli amanti del black metal sperimentale e moderno, e non solo per loro; progetto francese attivo ormai da più di vent'anni, esso era nato principalmente come emanazione del misterioso Vindsval, al quale poi però si sono aggiunti nel tempo gli altrettanto riservati GhÖst (basso) e W.D Feld (batteria, strumenti elettronici), ed in tempi recenti l'italiano Gionata Potenti a.k.a Thorns.
Molte, moltissime, le uscite del progetto, e molti gli stili affrontati, tra il black sinfonico più nobile dei primi lavori e della serie “Memoria Vetusta”, gli esperimenti industrial black metal di “The Work Which Transforms God” e della trilogia “777”, e le derive black/death degli EP della serie “What Once Was...”; non stupisce che all'interno della fanbase esistano divisioni e preferenze, tra pochi che apprezzano tutto, e molti che considerano solo un lato dello spettro musicale dei Nostri come quello riuscito, in base ai gusti.

Non curanti dell'opinione altrui, da un po' di tempo i B.A.N si sono concentrati su un altro tipo non ortodosso di lavori musicali: gli split con altre band, percorso iniziato due anni fa con “Triunity”, disco in collaborazione con il progetto industrial/doom francese P.H.O.B.O.S, ed ora continuato con “Codex Obscura Nomina”, il quale vede la partecipazione degli americani Ævangelist (Matron Thorn e d Ascaris). Quest'ultimi sono un'altra entità controversa del mondo del metal estremo più underground e senza compromessi, considerati da alcuni dei messia del genere, da altri degli incapaci che nascondono sotto una produzione lo-fi ed inserimenti sperimentali in un contesto black/death una pochezza tecnica di fondo (parere però questo, va detto, spesso affibbiato nell'ambiente a qualsiasi band osi avere un minimo di riconoscimento e successo); insomma ancora una volta dei compagni ideali per un gruppo non certo ortodosso e non amato da tutti, ma tra i più importanti dell'evoluzione “avantgarde” del metal oscuro.

Il lavoro ci offre quattro tracce dei B.A.N ed una lunghissima suite finale a cura degli Ævangelist, in uno stile che mette in risalto il lato più elettronico dei primi (siano avvisati coloro che apprezzano solo le loro derive epiche e sinfoniche, qui assenti), e quello più psichedelico e sperimentale dei secondi, presentando non pochi momenti che hanno più a che fare con le derive tecnoidi e noise della musica industriale, piuttosto che con il metal estremo tradizionale; si parte con “ Evanescent Hallucinations”, caratterizzata da una produzione insolitamente caotica per i Nostri (la quale dominerà tutto il lavoro), traccia aperta da suoni di fabbrica di matrice industrial e poi sviluppata con arie diafane supportate da drum machine cadenzata e loop meccanici alla Godflesh. Alcuni versi gutturali e frasi impercettibili si stagliano in sottofondo, ma è la strumentazione, spettrale e lontana, a sovrastare il tutto saturandolo; una versione “subacquea” del lato più avantgarde della band, la quale conosce anche rallentamenti doom dove dominano la distorsione e l'accordatura bassa, in un marasma sonoro dove chitarre, ritmica ed effetti creano uno strato unico. Il brano confluisce nel finale nella successiva “Resonnance(s)”, al quale viene giocata su dissonanze ripetute e bordate da sirena nella nebbia, mantenendo un passo pachidermico; inevitabile anche qui il paragone con i colossi britannici dell'industrial metal, in una traccia abbastanza ripetitiva dove s'innestano anche cori sacrali in lontananza e versi da orco indecifrabili. “The Parallel Echoes” si mostra come più maestosa grazie ai suoi cimbali meccanici ed ai loop di chitarra più battaglieri, mentre le vocals mantengono uno stile cavernoso perso in sottofondo; la mente ci riporta a quello che per molti è il loro album simbolo, ovvero “The Work Which Transforms God” grazie all'atmosfera maligna ed allo stesso tempo inumana, anche se non vengono toccate le vette espressive li raggiunte. La seconda parte ci dona anche fraseggi spettrali e tenebrosi, in una sorta di jazz sghembo; insomma nulla di inedito per i Nostri, ma di sicuro interesse per gli amanti del loro lato più sperimentale. La vera sorpresa viene data da “Infra-Voices Ensemble”, una sorta di pastiche caratterizzato da un rockabilly elettronico dove loop di chitarra e cascate ritmiche techno avanzano in un ballo dannato e pulsante; non credo in molti si sarebbero aspettati un giorno di sentire qualcosa di ballabile in pista da parte del progetto francese, ma quel giorno apre arrivato. Sicuramente un pezzo che farà discutere e borbottare qualcuno, una versione ancora più aliena di quanto tentato dallo shoegaze più caotico, debitore dello Jesu più sperimentale e concitato (non a caso un altro progetto di Justin Broadrick, mente dei Godflesh).

Gli Ævangelist chiudono il tutto con i venti e passa minuti di “Threshold of the Miraculous”, una suite dove incontriamo inizialmente fraseggi in loop stagliati su arie dark ambient, mentre di seguito si librano doppie casse black e chitarre vorticanti; le vocals sature di riverbero coronano il tutto, donandoci un episodio malsano che gioca su rallentamenti ed attacchi improvvisi e veloci. Il tutto si fa progressivamente più caotico, incontrando tempi ancora più lanciati e growl demoniaci, delineando il tutto con impennate e vortici melodici; c'infrangiamo poi contro una cesura dove spoken words e grevi suoni ad accordatura bassa si uniscono in una sorta di sermone infernale. Seguono tempeste rallentate e fraseggi epici dal gusto classico, ricordando certi momenti degli ultimi Bolzer; ma il songwriting è mutevole e schizoide, tanto da degenerare progressivamente dopo il decimo minuto in un dub elettronico che va sempre più crescendo mentre tornano le parti parlate. Ecco quindi nuovi loop di chitarra spettrali, in un andamento strisciante e malevolo coronato poi da una ripresa dei toni iniziali ben più robusti; si ripetono le alternanze già incontrate, tra serpeggiamenti tecnologici ed assalti ben più atavici, in una sequenza psichedelica ed estraniante.

Sicuramente un lavoro non per tutti, dove da una parte i B.A.N spingono il piede sul loro lato industriale, scegliendo una produzione più rarefatta e nebbiosa del solito, creando degli episodi che potrebbero essere quasi considerati strumentali dato che al voce si perde come uno strumento in sottofondo, e dove gli ospiti americani si danno ad una lunga suite dove s'incrociano il black/death più cavernoso e momenti più riflessivi dove fa capolino anche l'elettronica; a conti fatti nessuno dei due offre qui il meglio della loro produzione, ma il tutto risulta comunque godibili, ed il contrasto tra la disumanizzazione iniziale ed i toni arcani e psichedelici del finale funziona, dandoci una sorta di tomo occulto diviso tra malignità moderna e radici ataviche. Non il luogo migliore per iniziare con entrambi i gruppi, ma se già conoscete almeno i B.A.N ed apprezzate le loro uscite più sopra le righe, in particolare quelle della serie “777” ed il loro EP “Debemur MoRTi”, qui avrete pane per i vostri denti.

Recensione a cura di: Davide Pappalardo 
Voto: 70/100

Tracklist:
1. Blut aus Nord - Evanescent Hallucinations 04:45 
2. Blut aus Nord – Resonnance(s) 04:35 
3. Blut aus Nord - The Parallel Echöes 04:40 
4. Blut aus Nord - Infra-Voices Ensemble 05:41 
5. Ævangelist - Threshold of the Miraculous 21:33

DURATA TOTALE: 41:14

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