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OPETH "Sorceress" (Recensione)

Full-length, Moderbolaget Records
(2016)

Chi l'avrebbe mai detto? Mi spiego subito meglio. Personalmente ho sempre considerato gli Opeth un'ottima band fatta di grandi musicisti, ma fin troppo sopravvalutata, alla luce del fatto che nessun loro album è mai riuscito a scatenare in me l'entusiasmo che invece era di norma si scatenasse ad ogni loro uscita tra addetti ai lavori e fan(boy). Ed è così che, tutti coloro che li amavano per il loro trademark, che di album in album mutava un po', ma sostanzialmente rimaneva ancora un po' ancorato al death, cominciarono a storcere un po' il naso a partire da "Heritage", soprattutto.
Che il cantante Mikael Åkerfeldtf fosse un patito di prog rock e che volesse da tempo comunicarci che fosse stufo di certi schemi e limiti e che gli Opeth sarebbero mutati in qualcosa di completamente diverso, lo avevo capito anche io che non sono un affezionato fan di questa band, ma ugualmente ci fu chi accettò questa mutazione, e chi invece tacciò la band di essersi snaturata.
Detto questo, credo che un giudizio come il mio sia importante, non tanto perchè io la pensi o scriva meglio di altri (forse di alcuni sì, però...), ma perchè il mio parere su un nuovo loro lavoro è totalmente non condizionato da fanatismi o nostalgie di alcun tipo. Insomma, per me gli Opeth fino a qualche giorno fa sarebbero anche potuti non esistere e avrei vissuto allo stesso modo...
Questo "Sorceress" mi ha colpito per due motivi principali: uno è il sound, sia come stile rivolto al prog rock che sotto l'aspetto della produzione, molto vintage e quindi davvero calda ed avvolgente e volendo essenziale, come i vecchi dischi di una volta. Il co-produttore di questo disco è abbastanza conosciuto, e parliamo di Tom Dalgety (Ghost, Killing Joke, Royal Blood).

A partire dall'iniziale title-track, che segue l'intro strumentale di sola chitarra acustica "Persephone", la band esplode subito in sali e scendi di emozioni vintage, che molto devono al prog anche italiano. Suoni pieni ma molto retrò, con tanto di organo Hammond che tesse melodie storte e acide, basso pulsante e chitarre che si limitano ad abbellire il tutto con accordi dissonanti. Molto presto però la canzone cambia e si sviluppa in un mid tempo granitico in cui la voce pulita di Åkerfeldt si trova pienamente a proprio agio in un cantato Seventies. Break improvvisi e ripartenze potrebbero riportare anche ad alcune soluzioni "antiche" della band, ma si tratta solo di rimandi vaghi, che hanno poi sviluppi totalmente in linea col presente della band.
Siamo ancora in pieni anni Settanta con la successiva "The Wilde Flowers", acida e dall'incedere sincopato. La batteria di Martin Axenrot sostiene al meglio questo ingranaggio che appartiene al passato, a partire da una scelta di suoni totalmente avulsa da tentazioni moderne, come uso di trigger e roba simile. Ogni colpo sui piatti e sui tamburi ha un riverbero molto piacevole e reale, e questa è una scelta che ho apprezzato molto. Si potrebbe dire che un artista della batteria come Ian Paice abbia influenzato queste scelte, ma i nomi che si potrebbero fare sarebbero molti altri, e sono sicuro che gli Opeth stessi potrebbero stupirci nominando artisti che magari nemmeno conosciamo! Verso il finale questo pezzo abbandona i ritmi sostenuti dati dalle percussioni e si spinge in territori acustici in cui nuovamente Åkerfeldt dà buona dimostrazione di essere un cantante che se la cava molto bene anche in solo pulito.
Proprio sul cantato si potrebbe aprire una piccola parentesi, e mi oso dicendo che non ho mai troppo gradito i primi lavori di questa band, cioè quando la voce cercava di tanto in tanto di farsi più melodica alternandosi al growl. Personalmente, tolti rari casi, trovo quell'approccio davvero stucchevole e ormai superatissimo, quindi ben venga l'attuale stile di questo singer. Proseguiamo con la ballata "Will o the Wisp", dai toni fiabeschi e dolci, mentre l'elettricità torna protagonosta in "Chrysalis", un pezzo hard n' heavy di oltre sette minuti in cui la band si spinge molto dentro i territori del prog rock per un risultato travolgente. Questa canzone a mio avviso è la migliore della prima parte di questo disco, con tutta una serie di riff che si rincorrono, una bella carica e piccole incursioni di tastiere ad arricchire il tutto. E' proprio in episodi come questi che scopro una band che non era mai esistita, e anche molto valida e intraprendente, e davvero non capisco come la gente avrebbe voluto da questi musicisti che suonassero sempre le stesse cose degli albori, Cioè se parliamo dei Metallica e della loro involuzione posso capire, perchè non si parla tanto di genere, ma di qualità che in quel caso è venuta meno col tempo, e questo aspetto non riguarda per nulla i "nuovi" Opeth, i quali invece si sono evoluti in maniera credibile.

Piccolo scivolone in "Sorceress 2", che nella sua quiete non riesce a trasmettere molto, ed è un vero peccato, ma data la sua breve durata (per i canoni degli Opeth, ovvero siamo sotto i quattro minuti) potremmo prenderla come una intro per la successiva "The Seventh Sojourn", che appare come uno degli episodi più strani del disco, con le sue atmosfere arabeggianti e le sue percussioni che donano tribalità al tutto. Non abbiamo nemmeno parti vocali, ma sono frequenti anche incursioni di tastiera.
"Strange Brew" è un brano che si sviluppa dopo i due minuti, in tutta la sua irruenza prog e i suoi toni drammatici, con una sezione ritmica molto sostenuta che si snoda tra tempi dispari e rimbalzi vari. Una suite di quasi nove minuti dove capita un po' di tutto. Altro bell'episodio, ma non riuscito in pieno a mio avviso, perchè a tratti si ha la sensazione che la band perda un po' la strada. Troppe variazioni e troppo repentine, ma non tutto è da buttare, anzi. Forse sarebbe stato meglio qualche minuto e qualche passaggio a vuoto in meno.

Come se fossero menestrelli che suonano, l'album affida la sua chiusura a "Era" che in realtà non chiude veramente l'opera, ma calcolando che la conclusiva "Persephone (Slight Return)" non arriva al minuto di durata, possiamo tranquillamente considerare "Era" come l'ultimo vero brano completo della tracklist. 
Si finisce bene, ma a mio avviso si poteva fare di meglio, dati gli episodi nettamente migliori che abbiamo trovato fin qui, sparsi per il disco. Si avverte un po' di stanchezza compositiva in "Era", ma forse sono io che non ho capito fino in fondo questo pezzo, e può anche darsi, dato che non sono un grandissimo esperto di prog rock.
A dispetto di questo però, posso dire di aver apprezzato questo album per tanti aspetti, e che mi fa piacere sentire una band che finalmente si esprime in maniera libera e senza la paura di scontentare nessuno. Gli Opeth di oggi a mio avviso sono una band rinata, che può piacere o meno, ma che hanno dimostrato che evolversi e cambiare genere è possibile se lo si fa con le giuste motivazioni e con i giusti strumenti. E queste cose non mancano di certo agli Opeth. Bel disco!

Recensione a cura di: Sergio Vinci "Kosmos Reversum"
Voto: 75/100

Tracklist:
1. Persephone 01:51 
2. Sorceress 05:49 
3. The Wilde Flowers 06:49 
4. Will o the Wisp 05:07 
5. Chrysalis 07:16 
6. Sorceress 2 03:49 
7. The Seventh Sojourn 05:29 
8. Strange Brew 08:44 
9. A Fleeting Glance 05:06 
10. Era 05:41 
11. Persephone (Slight Return) 00:54 
DURATA TOTALE: 56:35

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