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AT THE DRIVE IN "in•ter a•li•a" (Recensione)

Full-length, Rise Records 
(2017) 
Come sarebbe il rock oggi, se a Ian Curtis fosse venuto male il nodo? E se Cobain non avesse trovato munizioni in casa? Episodi che hanno segnato per sempre la Storia del Rock, a chiunque ne possono venire in mente un'infinità. Ora pensiamo a episodi minori, a tutti quei profeti mancati della musica. Episodi sfuggiti al destino di influencer che in un mondo giusto gli sarebbe appartenuto, nuovi corsi possibili ma rimasti invece lì, come casi unici.
Per esempio nel 2000, quando "Relationship of Command" scalava le classifiche e il videoclip di One Armed Scissor andava in heavy rotation su Mtv, era lecito aspettarsi che dagli At the Drive-In scaturisse un nuovo corso del post-hardcore. Avevano ripreso le storpiature sonore da Fugazi e Drive Like Jehu, ora grazie a loro il fenomeno sarebbe esploso definitivamente, altri sarebbero venuti a scoprirne tutte le possibili declinazioni. 
So che a molti gli emuli stanno sulle palle, a me no. Il lavoro di scavo non mi infastidisce, basa fermarsi una volta che il giacimento è esaurito. Non mi pare ci fossero gran proteste, quando TUTTO IL MONDO si mise a fare nu metal, no? Ecco. Molto peggio se il testimone finisce a terra senza motivo, perché di mollare lì il lavoro degli At the Drive-In non c'era proprio motivo. Chissà che non sia venuto in mente qualcosa del genere, a Omar Rodriguez-Lopez e Cedric Bixler-Zavala, chitarra e voce degli AtD-I. Tipo un senso di responsabilità dopo aver mandato tutto in vacca. Un ritorno a 17 anni di distanza dallo scioglimento e da quel capolavoro irripetuto che è stato "Relationship of Command". Una sorta di operazione amarcord che vede Omar e Cedric tornare al rifugio delle vecchie ispirazioni. Quelle dei loro giorni migliori, perché tolti i primi due lavori targati Mars Volta (comunque quanto di più AtDI potesse venirgli in mente dopo il disco succitato), quel che venne dopo non fu più all'altezza. Jim Ward, Paul Hinojos e Tony Hajjar andarono a formare i trascurabili Sparta, mentre Cedric e Omar iniziarono un viaggio a fari spenti con i Mars Volta. Perdendosi com'era prevedibile. Seguiranno i Zavalaz di Cedric e i Bosnian Rainbows di Omar, con un adeguato seguito di pubblico (cioè quasi zero). Col senno di poi, il ritorno dei due come Antemasque nel 2014 era un segnale premonitore. 
Lo scorso anno erano in tour di nuovo insieme, sui cartelloni si leggeva At The Drive-In. Mancava solo Jim Ward, sostituito da Keeley Davis suo compagno negli Sparta (che ironia!). Sentivo dire che si mostravano spenti, quando lo scorso aprile sono andato a vederli al Fabrique di Milano hanno dato uno show fenomenale. Certo, Cedric non aveva le convulsioni, non salta giù dagli ampli come nei gloriosi '90, ma vorrei vedere quanti di voi lo farebbero dopo essere ingrassati di almeno una quindicina di chili. Il nuovo album era atteso già da luglio scorso, e hanno pensato bene di chiamarlo "Inter alia": in latino "tra l'altro". Che suona un po' come: "ah sì, poi ci sarebbe pure questo"; una cosa venuta fuori distrattamente e quasi per caso. Invece parliamo di un lavoro curato in ogni dettaglio, tanto che viene il sospetto sia frutto di idee nate molto prima di oggi, magari già subito dopo lo scioglimento. Cullate, nutrite nel tempo e ormai quasi maggiorenni. Già la produzione la dice lunga, affidata direttamente alle mani di Omar Rodriguez-Lopez, che non fu contento del suono di "Relationship..." e ora fa da sé con l'aiuto di Rich Costey. Senza fare necessariamente il remake di se stessi, o ancor peggio la parodia, riprendono il discorso lì dove si era interrotto con "Relationship", conservandone il carattere. Caotico, irrazionale, ad alta tensione. Per quanto mi riguarda l'album inizia dalla terza traccia, dopo l'iniziale disorientamento di "No Wolf Like the Present", che pare uno scherzo con quel mood à la Whitesnake, e "Continuum" che però almeno anticipa quanto sta per arrivare. È con "Tilting at the Univendor" che si entra nel vero "at-the-drivinismo". Sui capricci di un refrain un po' naïf, Cedric si produce in lunghe note ben sostenute, mentre gli altri creano meccanismi di contrazione/distensione. I contrasti, qui come in tutto il resto del disco, arrivano perlopiù sconnessi, ma la coerenza è accessoria. All'ascolto di "Governed by Contagions" potreste sentire un rumore strano in sottofondo. Sono i vostri denti che digrignano. Un minaccioso attacco noise apre il pezzo più teso di tutto il lavoro. Tony Hajjar alle pelli scandisce il ritmo di chi ha smesso di rispondere di sé, mentre la chitarra di Omar traccia isterici saliscendi distorti pieni di effetti. Qui sembra che proprio Omar, quello che "io con loro mai più", sia preso bene più di tutti. Questa ci conto che la vedremo live, escluderla sarebbe un crimine (o forse è il contrario, visto il delirio che può scatenare). Farà la terna con le successive "Pendulum in a Peasant Dress" e soprattutto "Holtzclaw", brillante come una mina antiuomo. Sperimentazione, passionalità, anche un certa presunzione. Si sente viva la dedizione dei ragazzi di El Paso a questa prova, che nel suo corso espande in più direzioni. "Ghost-Tape No. 9", spettrale e malinconica è la narrazione pienamente resa di un fantomatico nastro precedente al famoso Ghost Tape n.10 della PsyOp "wandering soul" in Vietnam. Ancora "Incurably Innocent" è il brano "sul tema dell’abuso sessuale e sul riuscire finalmente ad affrontarlo e parlarne” (Cedric). Sono le dimostrazioni dell'insistente tendenza ad argomenti tutt'altro che facili. Ché sennò a noi intellettuali ci pare un'offesa. Testi criptici, a tratti allucinati, pieni di riferimenti e citazioni. Sorprendenti, come il tappeto di batteria steso da Tony Hajjar sotto i singhiozzi di chitarra in "Incurably...". L'acrobazia in una caduta rovinosa. Le traversie del tempo ci hanno restituito gli At The Drive-In in piena forma, quindi ecco il punto: ad un certo punto se non puoi andare avanti devi per forza tornare indietro e ricominciare dall'ultima che ti sia riuscita davvero bene. 
Per chi già li conosce, il confronto con il loro passato sarà naturale e inevitabile e già immagino quanti andranno a recuperare il vecchio capolavoro, un po' come i nuovi episodi di Star Wars fanno rispolverare (e rimpiangere) la prima trilogia. Un disco che non dovrebbe subire paragoni eppure non può evitarli. Ho iniziato questa recensione chiedendomi se fosse "Relationship of Command" ad anticipare i tempi o "In•ter a•li•a" a ripercorrerli. Forse sono entrambi a essere fuori dal tempo, o forse il vero interrogativo non è questo, né se "In•ter a•li•a" regga il confronto e le enormi aspettative. Il riciclo della musica può portare seconde occasioni, c'è da chiedersi se alla seconda saranno colte o meno. 
Recensione a cura di: Ivo "Mutilio" Palummieri 
Voto: 87/100

Tracklist:

1. No Wolf Like The Present
2. Continuum
3. Tilting at the Univendor
4. Governed By Contagions
5. Pendulum in a Peasant Dress
6. Incurably Innocent
7. Call Broken Arrow
8. Hotlzclaw
9. Torrentially Cutshaw
10. Ghost-Tape No. 9
11. Hostage Stamps

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