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METAL CHURCH "Damned If You Do" (Recensione)


Full-length, Rat Pak Records
(2018)

Dodicesimo album in studio per i veterani del metal a stelle e strisce Metal Church. Inutile affermare nuovamente che questa band ha scritto almeno tre-quattro capolavori nella propria carriera e che, comunque, tra alti e bassi, ha continuato la propria marcia non cadendo mai di stile, ma confezionando sempre album che non hanno mai deluso, anche nel peggiore dei casi, i propri fans. Tutto questo nonostante la band abbia affrontato, a livello di singer, circa quattro periodi abbastanza distinti. Se i primi due album erano stati marchiati a fuoco dall'ugola di David Wayne e che per molti rimangono ancora i dischi migliori, a partire dal terzo album abbiamo visto la band affrontare dei piccoli scossoni a livello di line-up, infatti nel 1989 usciva il bellissimo "Blessing In Disguise", che vedeva il nuovo arrivato Mike Howe dietro al microfono, e l'uscita del chitarrista e membro storico Kurdt Vanderhoof, che veniva rimpiazzato dall'altrettanto ottimo John Marshall.

Alcuni album dopo, la band affronta altre vicissitudini a livello di line-up, e assolda al microfono Ronny Munroe, con il quale la band dà alla luce diversi album, per poi ritornare al passato con il rientro di Mike Howe alla voce e l'uscita nel 2016 di "XI", album che destò molta curiosità proprio in virtù del rientro in formazione di uno dei cantanti simbolo della band. Il disco in questione fu un buon colpo assestato ed ebbe la fortuna, a parere di chi scrive, di essere baciato da una performance canora impeccabile che ne alzò le quotazioni. Intendiamoci però, la band non riuscì nemmeno in questo caso a ripetere i capolavori dei primi tempi, ma comunque i fans si accontentarono abbastanza. Ed ecco che due anni dopo, ci ritroviamo tra le mani questo "Damned If You Do".
Sostanzialmente la formula non è troppo distante da quella del precedente "XI", e come sempre la voce di Howe riesce a spiccare anche quando qualche brano non è proprio esaltante, ma questo cantante sa sempre cosa fare per risollevare le sorti di alcune canzoni che non definirei affatto brutte, ma nemmeno paragonabili a quelle del mio loro album preferito, ovvero "Blessing In Disguise", che tra l'altro era il primo con Howe alla voce. Negli anni il sound della band si è fatto più immediato e un po' meno oscuro e criptico, caratterista, questa, che era ben presente invece nei primi tre album della band. Da qualche anno a questa parte la band non ha sicuramente rinunciato alla propria classe, soprattutto perchè parliamo di musicisti ultra navigati, e soprattutto perchè il buon Vanderhoof riesce sempre a essere ficcante coi propri riff, ma anche a donare ai brani quella melodia che da sempre contraddistingue questa formazione, facendo oscillare il genere proposto dalla band tra heavy metal e accenni power e thrash.

In tutto questo però, "Damned If You Do" a mio parere, non decolla praticamente mai, ma ha comunque diverse qualità che andremo ora ad analizzare meglio. Non abbiamo una canzone che possa essere considerata effettivamente memorabile, perchè già a partire dalla iniziale title-track "Damned If You Do", la band mette al nostro servizio un buon brano compatto e discretamente costruito, ma si ha la sensazione che manchi sempre qualcosa. Migliora qualcosa con la successiva "The Black Things", più articolata e "succosa" e con quell'alone oscuro che tanto ha reso particolare questa band. Passiamo ora a "By the Numbers", un pezzo al limite dello speed-thrash metal che finalmente convince appieno, con una formula snella ma dove tutti gli elementi risultano ben amalgamati, e dove si respira un po' di sana tensione e adrenalina. Mike Howe, inutile dirlo, continua a regalarci un cantato davvero encomiabile, e davvero sembra che per lui gli anni non siano mai passati. Sarà per lo yoga che pratica, e che ha omaggiato nel primo brano in scaletta dove, come fossero rintocchi di campana, si sentono tanti "Om", tipici della pratica in questione!

Il disco prosegue su buoni binari, tra qualche traccia non memorabile, come ad esempio le spompe e sempliciotte "Revolution Underway" e "Monkey Finger", e altre tipo "Guillotine", "Into the Fold e "Riot Away" (questa la segnalo come uno degli highlight del disco), che riportano l'asticella più in alto, con il loro tiro e la loro buona dose di classe e grinta che rinverdiscono un po' il passato della band. Siamo in finale d'opera, e la band piazza una canzone bella e convincente come "Out Of Balance", col suo piglio thrashy e i suoi ritornelli trascinanti. Onestamente se tutti il disco fosse stato su questi livelli, oltre le canzoni che citavo come fra le migliori poc'anzi, staremmo parlando di quasi capolavoro, ma per nostra sfortuna questo album, così come quello precedente, ma volendo anche come tutti quelli che sono venuti dopo "Hanging In The Balance" (che a mio avviso già non era al livello dei primi tre album della band), convince ma ha qualche filler di troppo.

Vedendo il bicchiere mezzo pieno, non è poco, per una band che è in giro da circa trentacinque anni, sfornare ancora dischi di buon livello come il qui presente "Damned If You Do", che può vantare almeno tre o quattro canzoni ottime, e il resto che si assesta su discreti livelli, ma è ovvio che quando si ha a che fare con una band che ha fatto la storia coi suoi primi capolavori si tenterà sempre a rivolgere lo sguardo al passato illustre, e questo farà sempre in modo di non essere mai pienamente soddisfatti. Tolto questo fattore-nostalgia, se prendete questo album in sè e per sè e amate l'heavy metal non rimarrete delusi, ma anzi, avrete in collezione uno dei migliori lavori di US Metal usciti negli ultimi anni. Non è poco, accontentiamoci!
PS: Ancora vorrei capire cosa aveva di sbagliato un disco come "Generation Nothing" che tutti o quasi giudicano negativamente, ma tant'è, a me era piaciuto molto!

Recensione a cura di: Sergio Vinci "Kosmos Reversum"
Voto: 72/100

Tracklist:

1. Damned If You Do 04:35 
2. The Black Things 05:16 
3. By the Numbers 04:35 
4. Revolution Underway 05:25 
5. Guillotine 04:47 
6. Rot Away 03:26 
7. Into the Fold 04:20 
8. Monkey Finger 04:15 
9. Out of Balance 04:25 
10. The War Electric 04:09 

DURATA TOTALE: 45:13

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