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NOKTURNAL MORTUM "Goat Horns" (Recensione)


Full-length, Morbid Noizz Productions 
(1997) 

La gloriosa epoca del black metal, a cavallo tra la prima e la seconda metà degli anni Novanta, ha visto emergere una quantità industriale di progetti che hanno fatto la storia del genere e che tuttoggi rimangono nell'immaginario collettivo come gli inarrivabili apici di uno stile musicale che è andato sempre più contaminandosi, restando attaccato alle sue radici ma arricchendosi con tocchi personali che hanno reso gli album di quegli anni perfettamente riconoscibili, se non tutti almeno quelli che hanno avuto il merito di sopravvivere all'incessante scorrere del tempo. Di questa privilegiata categoria fanno senz'altro parte i Padri del nero metallo ucraino, di quasi un decennio precedenti ai concittadini Drudkh, che rispondono all'oscuro nome di Nokturnal Mortum e che con il loro debut album "Goat Horns" uscito nel luglio del 1997 hanno contribuito alla maturazione stilistica del neonato black metal sinfonico, aggiungendo al maestoso sound di band quali Emperor, Dimmu Borgir e Summoning una massiccia dose di folk e di musica sperimentale, che ne ha definito negli anni la ricca e complessa identità musicale. 

La band nasce a Kharkiv nel 1994 dalle ceneri dei deathsters Supporation (e dei successivi ma assai poco longevi Crystaline Darkness), e vede alle chitarre Wortherax, alla voce il chitarrista e tastierista Varggoth, al basso Xaarqquath, alla seconda tastiera Sataroth e dietro le pelli Munruthel; il sound dei primi lavori risente dell'eredità death old-school degli esordi, seppur unita ad un symphonic black metal di chiara ispirazione norvegese con un tocco folkeggiante e di musica tradizionale tutt'altro che scontato, che già nella superlativa demo di debutto "Twilightfall" sorpende per la sua lugubre maestosità, con le sue influenze ambient e sperimentali che ne hanno fatto un eccellente disco di culto. In questa prospettiva i Nokturnal Mortum si inseriscono perfettamente nel panorama black metal europeo dell'epoca, non più debitore dei colossi scandinavi ma incline ad una miscellanea di generi estremi e tradizionali che non disegnano tastiere e strumenti tradizionali, proseguendo il percorso evolutivo iniziato dai Moonspell e dal loro gotico "Under the Moonspell" e proseguito con i francesi Blut Aus Nord e con i tedeschi Falkenbach e riprendendo la contaminazione est-europea del genere dei rumeni Negura Bunget e dei primi Behemoth. 

La musica di Worherax e soci appare particolarmente malvagia ed oscura, con un tocco di misticismo ed occultismo nel sound aspro e variegato che cavalca danzerecce sinfonie tradizionali accompagnandole con la brutalità di un feroce black metal e con un cantato intriso di malignità, per poi arricchire il tutto con atmosfere sinfoniche e maestose; le tematiche a tratti pagane ed occulte e in altri frangenti folkloristiche e patriottiche, al confine con il mero nazionalismo che ha reso i loro primi lavori dei capisaldi del NSBM, hanno alimentato l'approccio personale e identitario della band, già definito dai loro suoni tradizionali, e nella superba demo del 1996 "Lunar Poetry" ogni singolo elemento della loro orchestra diabolica si fonde meravigliosamente, fino ad un'estasi musicale senza eguali. Il 1997 vede uscire due demo di breve durata che si collocano tra quest'ultimo e l'album di debutto, "Return of the Vampire Lord" e "Marble Moon", e che sembrano condurre il sound dei Nostri verso un symphonic black metal più feroce e ben più definito, con una componente folk tradizionale ancor più marcata e una maturazione stilistica notevole. Il 6 luglio dello stesso anno viene rilasciato il primo lavoro sulla lunga distanza, "Goat Horns", un album invece sporco e malvagio in ogni sua componente ma allo stesso tempo epico, caposaldo del symphonic black metal degli anni Novanta e indubbio ispiratore di altri ben più noti del genere, non certo facile all'ascolto e tecnicamente mediocre, ma sublime nella sua pura essenza.

L'apertura è affidata a "Black Moon Ouverture", una introduzione d'opera maestosa e sinfonica in cui flauti, clarinetto e tastiere creano un connubio folk di melodie travolgenti e armonie tetri e sinistre in un crescendo trionfale di strumenti tradizionali, tra cui spiccano lo scacciapensieri, la telenka e la kobza di Varggoth e l'ocarina e la zitra di Saturious, per quattro minuti di un'intensità abissale da gelare il sangue nelle vene. "Kuyaviva", brano che tratta delle violente repressioni dei crociati contro i prussiani del 1200, immerge l'ascoltatore nelle tetre sinfonie dell'album accompagnando alla doppia cassa di Munruthel il cantato lancinante di Varggoth e un muro di chitarre sporco con un sottofondo folkeggiante che riprende la melodia dell'ouverture, scandito dal massiccio muro di strumenti tradizionali, che nell'epicità del refrain assume un contorno epico e maestoso; la sinfonia in crescendo della seconda parte rinnova la grezza e caotica malvagità del brano, che rivela la natura meno aggressiva e nitida ma oltremodo maligna del lavoro rispetto ai suoi predecessori. La lunga title-track si apre con un lugubre arpeggio acustico che sfocia in un crescendo sinfonico e cupo scandito da un cantato lento e spietato e da chitarre sporche, fino all'accelerazione della seconda parte che vede un riffing serrato in tremolo-picking accompagnare il surreale duetto tra blast beat e tastiere, per poi partorire una superba e travolgente melodia folk tradizionale dai richiami est-europei che sgorga in un arpeggio acustico, prima di una conclusiva ripresa sinfonica. "Unholy Orothania" si apre con un'introduzione folk tradizionale con tanto di cornamusa e flauti dai richiami quasi celtici a cui segue una melodia orientaleggiante ad anticipare la prima vera accelerazione dell'album, che trova una batteria veemente a duettare con chitarre serrate e una voce sporca e diabolica, prima che un'interlocuzione sinfonica rinnovi la componente folk, accentuata dalla presenza di un tamburello; l'intermezzo presenta un cantato rauco e sofferto ergersi sopra melodie acustiche assai sinistre, realizzate da un prolifico duetto tra le due tastiere di Sataroth e Saturious, che proseguono nella ripresa finale con ritrovata ferocia. 

L'episodio più lungo e complesso dell'album è la successiva "Vele's Scrolls", dedicata al dio slavo che sorveglia le porte celesti del mondo e rappresenta il potere supremo che governa la vita e la morte, che con i suoi quasi dodici minuti di durata unisce una ritmica accelerata all'epicità delle tastiere, risultando al contempo sinfonica e spietata, assolutamente malvagia; il riffing serrato iniziale decelera facendosi freddo e cupo, per poi lasciare il posto prima ad un breve intervallo folk tradizionale e poi ad una ripresa furiosa con sottofondo sinfonico, mentre una lunga seconda parte aperta da un lugubre black/doom in cui prevale un basso cupo e freddo, a cui seguono una ripresa maestosa e un intermezzo acustico e tetro, conduce attraverso cambi di tempo e di atmosfera ad un crescendo finale freddo e cupo, al termine di un viaggio tormentato e diabolico. Sul finire dell'album troviamo "Kolyada", cronaca musicale di un rituale pagano dedicato all'omonima dea slava protettrice della Grande Razza, in cui un ragionato black/doom con eco sinfoniche si accompagna ad una melodia tetra tradizionale dai richiami folk e ad un cantato in clean, che diviene poi uno spietato scream nell'accelerazione della seconda parte, scandita da un riffing gelido e sinistro e terminata da un mirabolante duetto tra melodie folk e feroci riprese in puro stile symphonic black metal. Chiude il lavoro l'intesa e atmosferica "Eternal Circle", outro sinfonica con un sinistro tocco ambient che la rende al contempo maestosa e tragica, in un crescendo travolgente che si spegne nel silenzio della fine dell'album, lasciando come un vuoto intorno, scalfito dall'eterno esaurirsi di un'eco tanto gelida quanto opprimente che sembra destinata a durare per sempre nella mente dell'indifeso ascoltatore.

Goat Horns" è una delle pagine più affascinanti del black metal sinfonico dei tempi che furono, malvagio e diabolico in ogni sua nota ma alquanto melodico, ricco di coinvolgenti sinfonie che scavano in un arcaico passato popolato da divinità ancestrali e da culti pagani, dominato dal folklore e dall'amore incondizionato per la propria terra e le proprie tradizioni; è un viaggio nel tempo in cui ogni elemento musicale svolge un ruolo ben definito, rimandando all'occulto e al maligno e suonando lugubre e tetro nonostante le sue maestose sinfonie, ripetute fino all'estasi. I Nokturnal Mortum hanno certo composto opere migliori nella loro lunga e prolifica carriera, ben più definite nel sound e tecnicamente virtuose, ma questa malvagia opera prima rimane forse il più puro e nefasto dei loro prodotti, intriso di un'oscurità raggelante e di un caos musicale che riesce perfettamente nell'intento di avvolgere colui che tende l'orecchio verso le sue lugubri note in una morsa diabolica e tetra, senza possibilità di salvezza. 

Alessandro Pineschi 
Voto: 90/100

Tracklist:
1. Black Moon Overture 
2. Kuyaviya 
3. Goat Horns 
4. Unholy Orathania
5. Veles' Scrolls 
6. Kolyada 
7. Eternal Circle 
8. Where Rivers Flow into the Seas 

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