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THE RUINS OF BEVERAST "The Thule Grimoires" (Recensione)


Full-length, Ván Records 
(2021) 

Dalla città tedesca di Aquisgrana, nella regione della Vestfalia, antico ducato di Sassonia ed area settentrionale della Renania, è appena arrivato come un fulmine a ciel sereno il nuovo lavoro firmato The Ruins of Beverast, tra le espressioni più complesse e disturbanti del panorama black metal del nuovo millennio, dall'ermetico titolo "The Thule Grimoires", in uscita il prossimo 5 febbraio ma che sembra già un serio candidato a ricoprire il ruolo di disco dell'anno. Il progetto nato dalla mente di Alexander von Meilenwald nel lontano 2003 e giunto al suo sesto lavoro sulla lunga distanza si è distinto nella scena underground estrema europea con album capolavoro quali "Rain Upon the Impure" e "Blood Vaults" grazie alla sua capacità di rinnovarsi continuamente e di soprendere l'ascoltatore con un approccio stilistico in costante evoluzione, affiancando all'oppressivo e ipnotico black/doom metal atmosferico degli esordi sonorità sperimentali e soluzioni canore sempre più eccentriche, in modo da eludere qualsivoglia definizione e rifuggire il più possibile dalle etichette del commerciale e dello scontato. L'ex batterista dei Nagelfar ha saputo plasmare nel corso degli anni un sound che ha reso la sua creazione uno dei progetti più interessanti ed apprezzati in ambito metal estremo e non solo, in grado di unire la ferocia del black e del death all'aura tetra del doom più sofferto e funereo, arricchendo il tutto con influenze che spaziano dal post-rock al noise, passando per la dark ambient e per l'industrial. Ogni singola release del progetto rappresenta un viaggio cosmico attraverso realtà oscure e inimmaginabili figlie dell'umano delirio, alla ricerca di verità ancestrali mai svelate che nascondano il significato occulto della natura umana e ne contengano i segreti più reconditi, unione tra il naturale e il sovrannaturale che è genitrice d'ogni conoscenza. La musica di The Ruins of Beverast (nome che rappresenta nella mente dello stesso fondatore il norreno Bifröst, il ponte arcobaleno che univa la terra degli uomini, Midgard, alla dimora celeste degli dèi, Ásgard, la cui rovinosa caduta accomuna la mitologia scandinava a quella germanica nel suo ruolo di atto primo della fine del mondo, del tanto temuto Ragnarok) si fa pertanto passaggio di conoscenza tra la dimensione umana e quella divina, tesa a rievocare l'Antico Mistero trascendendo dal materiale fino a perdersi nell'ignoto, che del divino rappresenta la massima espressione. Al di là di tutte le sfumature filosofiche e religiose, cosmogoniche ed escatologiche, che potremmo trovare nelle opere di The Ruins of Beverast, è duopo presentare un album di che di queste costituisce l'ennesima espressione evolutiva, l'inizio di un altro viaggio senza meta nelle desolate lande dell'Io, che nei suoi quasi settanta minuti di durata accompagna colui che lo intraprenda alla scoperta dei segreti umani più nascosti, da cui non vi è ritorno possibile.

"The Thule Grimoires" arriva a quasi quattro anni di distanza dal precedente "Exuvia" e a qualche mese dai due recentissimi split con gli irlandesi Mourning Beloveth ("Don't Walk on the Mass Graves") e con il duo islandese Almyrkvi, segnando un altro capitolo della saga di The Ruins of Beverast, compendio di tutte le frontiere musicali varcate dal progetto negli anni, toccando il post-metal e lo sludge fino allo psychedelic rock, ed ennesima ricerca dell'esasperazione canora, con un cantato che passa agevolmente dallo scream al clean, dal growl più cavernoso al coro liturgico, senza porsi limite alcuno. Come del resto i suoi predecessori, esso richiede molti ascolti ed un'incondizionata apertura mentale ad ogni sonorità, anche alle più claustrofobiche e disturbanti, ma l'orgasmo spirituale e l'elevazione dell'Io oltre la sfera del reale sono garantiti. Il lavoro si apre con la decisa "Ropes Into Eden", che dopo una surreale introduzione atmosferica tra lo space e la dark ambient irrompe con un feroce blast-beat dalle eco industrial e dalle chitarre ipnotiche condito da uno scream graffiante, che si adagia in una momentanea quiete ambientale per poi evolversi in un maestoso e cupo post/doom, il cui crescendo alimentato da un decisa batteria conduce alla seconda metà del brano; questa è anticipata da melodie di chitarra trionfali ed epiche di autentica estasi, seguite da un crescendo post-doom metal ipnotico su cui si ergono prima uno scream lacerante e poi un passaggio in clean onirico e surreale, prima di un finale in cui viene ripresa la veemenza dell'inizio, accompagnata da suoni spaziali e industriali. Nella successiva "The Tundra Shines" si passa dall'ambient/noise dell'intro a un post-doom atmosferico e sinistro in cui la batteria sembra replicare il suono di un tamburo primitivo e si odono lamenti sciamanici di antiche tribù, prima che un profondo growl catacombale doni al brano un'atmosfera tetra ed abissale; un riffing black/doom seguito da cantanto in clean sognante accresce l'intensità del pezzo, colorandosi di sfumature ambientali e di un assolo melodico e cupo, e si arriva ad un inatteso finale accelerato in puro blast-beat con tanto di classico scream, il cui progressivo rallentamento dai contorni epici si esaurisce in una raggelante litania di voci primitive.

"Kromlec'h Knell" si distingue per un cantato in clean estremamente orecchiabile, seppur tetro ed angusto come le note dissonanti che lo accompagnano, che si erge sul mid-tempo iniziale divenendo un growl abissale nel momento in cui la ritmica decelera fino ad un oppressivo black/doom sovrastato da un canto gregoriano; il clean si ripete a mo' di litania nella parte centrale, anticipando un riff di chitarra lento e melodico dalle sfumature industriali, e dopo un epico passaggio corale conclude il pezzo con la sua aura sognante e liturgica. Dopo la breve e surreale "Mammothpolis", la cui atmosfera claustrofobica iniziale dettata da un lamento in clean cupo e delirante si evolve prima in un riff post-doom dai richiami space e poi nell'accelerazione finale dal riffing melodico e deciso, si giunge alla maestosa "Anchoress in Furs", aperta da un disturbante cantato in clean femminile sopra un arrangiamento sludge/doom e dal successivo crescendo di chitarre e batteria che risale da un tetro post-doom fino ad una parte centrale epica e trionfale, il cui clean maschile funge da strumento aggiuntivo nel donare al sound un contorno vago e indefinito; nella ripresa al limite dello sludge si odono eco noise opprimenti e tocchi sperimentali che accompagnano allo stupendo finale, guidato da gelide chitarre atmosferiche che raggiungono le frontiere dell'impossibile, trasportando l'anima dell'ascoltatore in una nuova dimensione. Assai più decisa è la successiva "Polar Hiss Hysteria", caratterizzata da mid-tempo dai contorni epic black/doom e sperimentali e da un brillante duetto tra clean maschile e femminile che si evolve in un'accelerazione veemente tra il black metal e il technical death metal; segue un assolo tecnico dai richiami progressive, ad anticipare un cupo rallentamento in growl, prima di un aggressivo finale in blast-beat dallo scream feroce e dalle eco atmosferiche. In chiusura troviamo il brano più lungo della release, "Deserts to Blind and Defeat", quattordici minuti di pura epicità anticipati da un maestoso post-doom atmosferico le cui tastiere donano ad ogni nota un'intensità travolgente, crescendo magnificamente con la batteria fino ad un delizioso cantato in clean che precede la veemente accelerazione centrale, scandita da un riffing gelido e sinistro le cui chitarre risultano affilate come lame, per poi rallentare e farsi tetre nel cavalcare cupe melodie dissonanti. Uno space/ambient psichedelico conduce verso la fine dell'album, dalle melodie distorte e graffianti e dalle sonorità ipnotiche, tra il post-metal, il doom e l'industrial metal, concluso da un surreale parlato e da un claustrofobico dark ambient a sfumare.

Qui si conclude il viaggio, appena in tempo per rendersi conto di non essere più gli stessi di quando lo si è iniziato, arricchiti della memoria degli orizzonti varcati con la sola forza del pensiero, scortati dalle note angoscianti e raggelanti di un album che raggiunge l'irreale per renderlo parte del reale, mutando tutto ciò che un tempo credevamo verità assoluta e che schiude invece le porte più occulte del nostro animo e dona una nuova visione ancestrale della storia dell'uomo. 

Alessandro Pineschi 
Voto: 90/100

Tracklist:
1. Ropes into Eden 
2. The Tundra Shines 
3. Kromlec'h Knell
4. Mammothpolis
5. Anchoress in Furs 
6. Polar Hiss Hysteria 
7. Deserts to Bind and Defeat

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