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ACCEPT "Humanoid" (Recensione)


Full-length, Napalm Records
(2024)

Non so esattamente cosa un ascoltatore (e un fan) possa aspettarsi da una band come gli Accept nel 2024. Personalmente credo che tutto quello che stiano facendo dall'entrata del cantante Mark Tornillo sia in un qualche modo da apprezzare e che ci si possa ritenere soddisfatti di quanto stiano facendo questi dinosauri del metal tedesco, contando che esistono da quasi cinquant'anni. Vediamo che l'unico componente originario rimasto della band è il chitarrista Wolf Hoffman, di recente affiancato da un altro pilastro della sei corde tedesco, ovvero Uwe Lulis, ma di fatto la band negli ultimi anni ha visto molti altri avvicendamenti di line-up, con entrate tutte all'altezza della situazione, in ogni caso.

Questo per dire che in buona sostanza il sound dei Nostri non è variato molto dall'apprezzatissimo "Blood Of The Nations" ad oggi, ma forse la carretta si sta un po' tirando stancamente alla luce di questo "Humanoid". Ormai la band viaggia su un metal sicuro, ben confezionato ala consolle da Andy Sneap e dove non ci sono scossoni di sorta. Forse in questo nuovo "Humanoid" si respira un alone più oscuro e dimesso rispetto ad altri episodi recenti, forse anche per la tematica principale trattata legata all'Intelligenza Artificiale, e forse vuoi perchè la band ha voluto realizzare, magari inconsapevolmente, una sorta di "black album" della propria carriera, visto che le strutture dei brani sono abbastanza semplici e il disco in generale ha diverse canzoni in mid tempo ("Humanoid", Man Up", "Nobody Gets Out Alive", "Straight Up Jack"). Ci sono le canzoni roboanti e che richiamano il power e lo speed metal degli esordi ("Diving Into Sin" e "Southside of Hell" su tutte), ma sono davvero ridotte al lumicino, in favore di un approccio che richiama certo hard rock e al massimo il metal classico.

In tutto questo, onestamente, ho fatto fatica a sentire un solo riff memorabile e un pezzo che si elevasse un po' sopra la media. Per fortuna la band finisce il disco con un brano che risolleva con la sua potenza e i suoi riff affilati il tutto, parliamo della tellurica e già citata "Southside of Hell", un brano che assieme all'opener fa vedere come questi vecchi leoni siano in grado di dare ancora spallate pesanti. Ma in definitiva questo è un album abbastanza spoglio, che non aggiunge davvero nulla alla carriera degli Accept, ma che allo stesso tempo non mi sento di bocciare, perchè comunque la classe e il mestiere i Nostri li hanno e riescono comunque a risultare perlomeno gradevoli nell'insieme. 

Certo che sentire spesso gente che insulta i conterranei Grave Digger fa specie, dato che almeno i Grave Digger hanno mantenuto una potenza che gli Accept si sognano, ma tant'è...Questo è un album poco più che sufficiente, non è nè un capolavoro e forse nemmeno un buon disco. E' solo l'ennesimo album incolore e innocuo da parte di vecchie leggende che forse farebbero meglio a ritirarsi. Non tanto perchè questo album sia pessimo, anzi, ma perchè comunque i segnali di un inaridimento compositivo sono chiari e forti e non sarebbe cosa buona e giusta chiudere in bruttezza una carriera di tutto rispetto. Io ripeto, chiuderei con questo album, che è perlomeno dignitoso. Oltre, anche no, salvo colpi di coda improvvisi e inaspettati (leggasi Judas Priest).

Recensione a cura di Sergio Vinci
Voto: 65/100

Tracklist:
1. Diving into Sin
2. Humanoid 
3. Frankenstein 
4. Man Up 
5. The Reckoning 
6. Nobody Gets Out Alive
7. Ravages of Time 
8. Unbreakable 
9. Mind Games 
10. Straight Up Jack 
11. Southside of Hell 

Line-up:
Wolf Hoffmann - Guitars, Songwriting
Mark Tornillo - Vocals, Songwriting (tracks 2-5, 7, 9-12)
Christopher Williams - Drums
Uwe Lulis - Guitars, Songwriting (track 3)
Martin Motnik - Bass, Songwriting (tracks 2, 6, 8, 9)

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