DEATH "Spiritual Healing" (Recensione)
Full-length, Combat Records
(1990)
Una delle imprese più ardue è voler analizzare il lavoro di Chuck Schuldiner e del suo progetto Death: la scelta di un album più rappresentativo nella sua discografia deve per forza passare dall'esclusione, un sacrificio, di tutte le altre uscite, operazione non banale, visto che ogni volta si tratta di autentiche pietre miliari del Death Metal e del Metal in generale. I Death, che già con quel nome, così semplice e così esemplificativo del genere stesso, non solo formalizzano il modello a cui innumerevoli altre band si rifaranno, ma ne superano i confini perfino in un paio di occasioni. La carriera di questo gruppo innovativo può infatti essere sintetizzata in tre fasi: una prima in cui si definisce il Death Metal nella sua forma più canonica, una seconda in cui si implementa una sofisticazione compositiva e una tecnica esecutiva degne del free jazz, una terza che vede il ritorno alla melodia, pur se con fraseggi del tutto peculiari, impostati su una scala "alla Chuck Schuldiner", che prevede i gradi della scala minore naturale con alcune alterazioni semitonali, come per la 2b: non c'è un vademecum specifico, pertanto si dovranno derivare a orecchio le successioni, proprio come ad orecchio componeva il nostro eroe.
Siamo costretti a ripercorrere, con le dovute semplificazioni, il percorso ideale che sfociò, nel 1987, a quel "Scream Bloody Gore" che sarà la prima manifestazione ascrivibile al Death Metal come genere autonomo. L'attitudine nasce sempre da quei Venom di Newcastle, ovvero la band del filone NWOBHM che aveva alzato l'asticella dell'estremismo sonoro, pur con uno stile assimilabile al Rock 'n' Roll dei Motörhead, ma proposto in chiave sporca, confusionaria, amatoriale e sopra le righe. Per veder coniato il nome del genere, si dovrà aspettare al 1985, a quel brano "Death Metal" incluso in "Seven Churches" dei Possessed, che forniranno anche lo spunto per le growling vocals poi adottate in ambito estremo. Dal canto loro, gli Slayer di "Hell Awaits", sempre nel 1985, introdurranno un suono, una struttura dei brani e una morbosità di fondo a livello tematico che sarà quasi già Death Metal, pur se inserito ancora in un contesto Thrash Metal: dovremo aspettare ancora due anni per vedere nascere (o risorgere dalla tomba modello zombi) il Death Metal del debutto dei Death. Un album ancora grezzo, non particolarmente strutturato, ma già valido punto di partenza per tutte le evoluzioni a seguire. Col successivo "Leprosy" del 1988 si raggiungerà già una forma stabile di Metal estremo, con tutti i parametri configurati in quello che sarà il modello standard di Death Metal. Avremo un suono di rullante incredibile, una vera fucilata, forse un po' eccessiva come timbrica, ma adeguata al genere proposto. "Spiritual Healing" del 1990 sarà oggetto della nostra analisi approfondita, portando ai massimi livelli la precedente formula e chiudendo di fatto il primo capitolo dei Death, quello canonico.
Con "Human" del 1991 già si superano i confini, per sbordare in un Death Metal tecnico e iper-strutturato. Approccio mantenuto ed espanso all'inverosimile nel successivo, stilisticamente verticistico "Individual Thought Patterns" del 1993, con brani tutti omogenei, tutti di media durata e infarciti con ogni sorta di sperimentazione ritmica, potendo vantare alla batteria Gene Hoglan, l'"atomic clock" di fama Dark Angel. Un livello talmente alto che non potrà portare se non alla chiusura di questo secondo periodo e all'ingresso, con "Symbolic" del 1995, in una dimensione a suo modo melodica, che riprende certi stilemi dell'Heavy Metal classico, di cui Chuck è grande appassionato, pur filtrati dal suo particolare gusto compositivo. La fine di questo percorso la si avrà in "The Sound of Perseverance" del 1998, che sarà anche la morte della Morte, per via della prematura scomparsa di Chuck nel 2001. Album sempre stellare, con strutture dei brani più estese e ancor più elaborate che in passato, penalizzato solo, a mio avviso, dal passagio di timbrica vocale dal growl archetipico ad uno screaming sforzato di minor impatto. Non stupirà che l'album si chiude con la cover di "Painkiller" dei Judas Priest, a sancire il ritorno del Death Metal nel ramo principale del Metal classico.
Ricordiamo che il progetto parallelo di Chuck, i Control Denied, rilascerà l'unico album "The Fragile Art of Existence" del 1999 che farà mostra di un Heavy Metal con voce pulita adagiato miracolosamente sulle strutture cervellotiche del Death Metal melodico dell'ultima fase dei Death. Chuck Schuldiner e (variabili) soci quindi iniziarono staccando un ramo di sviluppo a partire dalla NWOBHM e da certo Thrash Metal più catacombale, faranno le loro implementazioni nel loro percorso indipendente, quindi si riporteranno alla corrente principale da cui tutto è partito. Un arco di sviluppo dalla traiettoria perfetta. Chiaro quindi quanto sia difficile estrapolare un album in particolare da una discografia in cui ogni disco è l'inizio e/o la chiusura di un filone, portato quindi a completo compimento. Ho scelto "Spiritual Healing" perché, per gusto personale, risulta il mio preferito: un po' oscurato dalla fama di tutti gli altri capolavori dei Death e delle band coeve, esso presenta la forma perfetta del Death Metal classico: i brani sono tutti omogenei, altamente strutturati, ma senza esagerare, con dei suoni perfetti ad opera dei Morrisound Recording, Tampa, Florida di Scott Burns, produttore storico a cui si deve la qualità sonora del Death Metal analogamente a quanto fatto da Eirik Pytten, con i suoi Grieghallen Studios di Bergen, in ambito Black Metal.
Questo terzo album dei Death vede già un distacco dalle tematiche horror tipiche del genere verso la critica sociale, la riflessione psicologica e filosofica, la distopia fantascientifica. Ad affiancare la chitarra di Chuck, abbiamo James Murphy, in grado di lasciare il suo segno in questo capolavoro così come in "Cause of Death" degli Obituary, sempre del 1990, dove avremo anche la prova superlativa del miglior growl in circolazione all'epoca, quello di John Tardy, che rigurgita disgustato ogni verso il cui contenuto testuale viene sì rafforzato, ma potrebbe essere perfino ignorato vista la potenza sub-verbale di questi conati di vomito messi in metrica. Tornando ai Death, in questo album troviamo anche quel ricorso alle fughe di doppia cassa e alla plettrata alternata in sedicesimi a corda stoppata che già lasciano trasparire tutta la passione di Chuck per lo Speed Metal anni '80. Questo richiamo classico sarà mantenuto ed estremizzato nel successivo "Human", per cui possiamo ben dire che i Death prendono delle soluzioni preesistenti e le adattano al loro stile estremo. Genialità allo stato puro, e invidiabile capacità di produrre riff memorabili pur in un contesto per lo più atonale tipico del Death Metal e di questa fase dei Death.
Tutti gli album della band sarebbero da 100, con al limite un 95 attribuito al primo lavoro, ancora troppo acerbo, a all'ultimo, leggermente penalizzato da delle screaming vocals non all'altezza. E' una valutazione ancor più difficile di quella fatta per gli Iron Maiden, laddove lì avevamo tanti album fondamentali, ma piuttosto omogenei a livello stilistico, con piccole aggiunte o sottrazioni, delle "minor changes", alla formula di base, piuttosto costante, mentre qui abbiamo delle vere e proprie "major changes" che impattano sulla versione dell'intero progetto Death e dell'ambiente Death Metal in generale.
Recensione a cura di Luke Vincent
Voto: 100/100
Tracklist:
1. Living Monstrosity
2. Altering the Future
3. Defensive Personalities
4. Within the Mind
5. Spiritual Healing
6. Low Life
7. Genetic Reconstruction
8. Killing Spree
Line-up:
Chuck Schuldiner: voce e chitarra
James Murphy: chitarra
Bill Andrews: batteria
Terry Butler: basso
Web:
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