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Iron Maiden "The Final Frontier"

Full-length, EMI, 2010
Genere: Heavy Metal

Recensire gli Iron Maiden è per il sottoscritto qualcosa di davvero anomalo, perchè lo faccio per la prima volta e perché sono una band che ho amato alla follia. Sono coloro che ben 23 anni fa, quando avevo nove anni, mi hanno iniziato al metal, il classico vinile (nel mio caso era “Killers”) prestato dal parente, dal fratello o dall’amico più grande che si cibava di questa musica così cattiva, dalle copertine impressionanti (soprattutto per un bambino), dalla potenza contagiosa per chi era ed è in grado di recepirla e farne una religione, una ragione di vita.
Ebbene, per me praticamente il metal è stata l’unica musica che mi ha da sempre accompagnato, perché a nove anni un bambino può aver solo conosciuto le musiche dei cartoni animati e qualche altra canzonetta passata in radio o in tv.
E’ un po’ di anni che recensisco e, cosa strana come dicevo prima, non avevo mai recensito il gruppo che per me ha rappresentato di più in tutta la mia formazione musicale, e “The Final Frontier” mette fine a questa mia “mancanza”. Allora, premettiamo una cosa: non ho ben accolto le molte recensioni che sono uscite finora in merito a questo disco, non tanto per le valutazioni (molto contrastanti), ma per il fatto che secondo me non dico tutte, ma molte di esse forse sono state scritte con troppa fretta per anticipare la concorrenza, col conseguente difetto che si presenta in questi casi, ovvero che il disco non lo si è assimilato per bene. Io invece che scrivo per questa “piccola” webzine posso permettermi di prendermela più comoda o anche di “non prendermela” proprio, e di recensire chi, cosa e quando voglio. Fatta questa premessa passiamo al disco.

Il quindicesimo album in studio della Vergine di Ferro si pone come un disco tipico di questa band, ma nel quale possiamo ritrovare le soluzioni adattate da almeno 15 anni in qua dai nostri, o più precisamente dal rientro di Bruce Dickinson in formazione. Composizioni mediamente lunghe, un po’ prolisse e pretenziose, bisogna dirlo, un sound che non graffia più come agli albori, una produzione che puzza di Shirley peggio dello stesso Shirley in persona e col costante spettro dietro il mixer del traghettatore Harris che ha, come tutti sanno, l’ultima parola su tutto quello che riguarda i Maiden. L’inizio del disco spetta a “Satellite 15... The Final Frontier”, che non sarebbe stata nemmeno una canzone malvagia se fosse durata quasi cinque minuti in meno, ovvero senza l’inutile intro che apre la vera a propria song, la quale non ha sicuramente la potenza di una “Aces High” o di una “Prowler” (e vabbè, questo era scontato), ma nemmeno, a dire il vero, il discreto impatto che era comunque presente nelle opener presenti in dischi comunque recenti come “Brave New World” o “Dance Of Death”. Si prosegue col singolo che tutti hanno potuto assaggiare prima della uscita del disco, quella “El Dorado” tanto criticata sia in sede audio che video, ma che pur non facendo gridare al miracolo si presenta in modo dignitoso, con un buon tiro e un bridge vagamente oscuro e che mi ha riportato in mente alcune cose di “Somewhere In Time”. Il ritornello a mio avviso non è una manna dal cielo ma almeno si stampa in testa dal primo ascolto e l’assolo è decisamente buono, così come la prestazione del solito, incisivo Harris sugli scudi. Una buona introduzione di chitarre acustiche apre la terza traccia, “Mother Of Mercy”, e qui diciamo che il disco inizia a prendetre una piega più definita e forse qualitativamente migliore. Questo pezzo è una emozionante Maiden-song, con un bel crescendo che sfocierà in un bel bridge davvero ben arrangiato a livello chitarristico e successivo ritornello, un po’ sforzato forse a livello vocale ma comunque gradevole. In questo pezzo ci sento anche qualche rimando alla vena malinconica e oscura del periodo “The X Factor”. Segue “Coming Home”, una semi-ballad che rimanda al repertorio più lento e classico sia dei Maiden che del Bruce solista, canzone buona ma un po’ smielata nelle melodie vocali, adatta volendo anche per una bella serata romantica…In ogni caso la prestazione d’insieme è buona e la canzone scorre facilmente senza intoppi. Si ritrova un po’ di potenza (finalmente!) con “The Alchemist”, che sembra una via di mezzo tra “Aces High” e “Man On The Edge”, non raggiungendo però l’ispirazione di nessuna delle due, tantomeno la prima citata, e infatti il paragone che ho fatto è solo per far capire come si presenta la canzone a livello stilistico, per il resto dico che io mi tengo le altre due pur non disprezzando questa, che purtroppo paga lo scotto di una produzione che proprio nei pezzi veloci si dimostra inadatta. Intendiamoci, il buon Shirley sa il fatto suo, e a parte il fatto che uno possa trovare di suo gusto il modo in cui lavora o meno, non credo si possa mettere in discussione la sua competenza, ma diciamo che io avrei magari messo un po’ di potenza in più in quei pezzi dove ci sarebbe stata bene, dove insomma i Maiden ruggiscono ancora un minimo…

Ma proseguiamo ancora in questo lungo cammino, e arriva una “Isle Of Avalon”, dall’incedere un po’ inquietante e vagamente progressivo, con un buon lavoro di basso e chitarre arpeggiate che si protraggono con pochi colpi di charleston per quasi due minuti, finchè la tensione sfocia in una canzone che non ho paura a definire come tra le più riuscite del lotto. Finalmente Bruce appare nel pieno della forma, sfornando una ottima prestazione anche sotto il profilo del gusto, partendo in sordina per poi guadagnare terreno nelle sue consuete tonalità medio-alte. Dalla metà in poi il pezzo si snoda su decisi territori progressivi, per poi ritornare al tema di partenza. Canzone che cresce pian piano, ben arrangiata, davvero buona e con un bellissimo refrain. “Starblind” è caratterizzata da un tempo iniziale di batteria un po’ sincopato fino all’apertura più ariosa del ritornello. Onestamente la canzone non è brutta, ma davvero per me non conclude, rimane sospesa in un limbo simil-progressive che mi fa storcere un po’ il naso. La tripletta finale è affidata a “The Talisman”, “The Man Who Would Be King” e “When the Wild Wind Blows”, la prima tipicamente nello stile Maiden, con un Dickinson che viaggia su note altissime e il gruppo che fa un po’ il verso alle passate cavalcate che lo resero famoso, con risultati a dire il vero non troppo esaltanti però. Quindi un altro pezzo abbastanza sottotono infarcito nuovamente di inserti progressive che proprio bene non ci stanno…La seconda per l’ennesima volta si apre con un lungo arpeggio (ora comincia ad essere fastidiosa questa cosa, ma tant’è), poi si prosegue in un up-tempo rockeggiante costruito su stoppati di chitarra lineari. Anche qui bisogna arrivare alla metà per avere la piena espressione del brano in questione, e indubbiamente gli Iron Maiden stupiscono nuovamente per soluzioni inusuali per loro, dilatate e a tratti sembra di trovarsi all’interno di una jam session. Giudizio sospeso anche qui, nel senso che il pezzo per me è valido ma a livello di gusto non incontra troppo i miei favori. E arriviamo alla fine (con lingua felpata e allucinazioni in pieno stile fantozziano) con la sopra-citata “When the Wild Wind Blows”, che si apre con…un arpeggio! Chi l’avrebbe mai detto eh? Dai, a parte gli scherzi, la canzone poi si riprende un po’ (neanche troppo a dire il vero) proseguendo sulla falsariga delle altre due che la precedono, ovvero con smisurata prolissità, qualche soluzione indovinata (e ci mancherebbe, data la caratura di questi musicisti) e, purtroppo, poca potenza e tanto simil-progressive.

Tirando le somme. “The Final Frontier” è un disco che per me si pone come uno dei capitoli meno riusciti da parte di questi leggendari signori, non toccando però la scarsezza di dischi come “Virtual XI” o di parte di “The X Factor” (sì, avete capito, io non faccio parte di coloro che hanno rivalutato, forse sforzandosi, quei due dischi che rimangono a mio avviso i punti più bassi della discografia dei Maiden). Vi chiederete allora del perché io ora concluda bollando così questo disco quando, nel corso della recensione, ne ho invece evidenziato molti pregi. La risposta è tanto semplice quanto scontata. Io non reputo nessun album degli Iron Maiden, anche il più brutto come una schifezza, e comunque tutti i dischi partono almeno da una valutazione che va dal sufficiente all’ottimo. Questo disco si pone poco sopra “Virtual XI”, e più o meno allo stesso livello di dischi come “The X Factor”, “A Matter Of Life And death” o "Fear Of The Dark" (quest'ultimo però lo metto una spanna sopra assieme a "No Prayer For The Dying", sia chiaro). Nonostante questo per me è comunque meno digeribile di questi dischi con cui lo sto comparando. Mentre in quei dischi c’erano almeno due o tre episodi davvero graffianti e potenti, qui invece non ci sono. Quindi, oggettivamente (sempre che esista l'oggettività in musica), per me siamo vicini a quei dischi, ma soggettivamente potrei anche dirvi che questo disco è solo di poco superiore a “Virtual XI” e più o meno alla pari del predecessore. Mi aspettavo qualcosa di più lo ammetto, nonostante è da almeno venti anni che lo faccia, ma alla fine il disco non è brutto, ma purtroppo in dei momenti è scialbo, sa di poco “condito”, è un po’ troppo diluito per quelle che sono le coordinate del Maiden-sound.

Larga sufficienza quindi, ma davvero mi chiedo quanto potrà durare ancora questa solfa del “lungo a tutti i costi”. Un consiglio da un poveretto quale sono a questi sei “ragazzi” lo vorrei dare, anche se non lo leggeranno mai: fate i Maiden, fate qualche bel pezzo anche scontato di heavy metal nel vero senso del termine, se volete riciclate un po’ della vostra roba degli anni ’80 e magari mettete solo due o tre pezzi che rappresentano il nuovo corso nel prossimo disco. Alla fine potrebbe venirne fuori un discreto disco, magari un “Dance Of Death” parte seconda (chiedere un “Powerslave” o un “Killers” sarebbe fantascienza pura), che ovviamente non sarebbe il massimo, ma che almeno farebbe muovere un po’ più il piedino e la testa.
Né bocciati né promossi, siamo in un limbo che dura da almeno due album, direi che è già abbastanza.

Recensione a cura di: Kosmos Reversum
Voto: 63/100

Tracklist:
1. Satellite 15... The Final Frontier 08:40
2. El Dorado 06:49 
3. Mother of Mercy 05:20
4. Coming Home 05:52
5. The Alchemist 04:29
6. Isle of Avalon 09:06
7. Starblind 07:48
8. The Talisman 09:03
9. The Man Who Would Be King 08:28
10. When the Wild Wind Blows 10:59

Total playing time 01:16:35

http://www.ironmaiden.com/
http://www.myspace.com/ironmaiden

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