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SHOKRAN "Exodus" (Recensione)

Full-length, Independent 
(2016)

Recensire un disco djent? E perché no, mi son detto. Dopo tutto, seguo da tempo l’evoluzione di gente come Unexpect e Hybrid Circle, nonché le issues più schizzate di label come la Memorial Records, per cui… mai mettere limiti alla Provvidenza, c’è sempre la speranza che qualche gemma preziosa venga fuori da un sottobosco assai popolato e altrettanto difficile da esplorare, nonostante vi gravitino realtà che sono per lo più estranee al mio modo di intendere la musica.
In fondo, per il sottoscritto i gruppi più interessanti di quell’arzigogolo che è il djent hanno un marchio di fabbrica ben preciso: sonorità orientaleggianti che uniscono i misteri ancestrali alla freddezza postmoderna, e soprattutto un uso delle melodie vocaliche che spazia dall’ipnotismo caro ai Tool per giungere alla lezione del grunge e magari anche a quella del pop più smielato che ci sia, senza le fastidiosissime maglie che racchiudono ciò che è “true” da ciò che non lo è; in sostanza, qualcosa che potenzialmente disponga di ancora maggiore attrattiva dei Protest The Hero, se seguite il mio ragionamento. 
Come certi gruppi riescano a tenere insieme una simile formula resta un mistero, certo è che gli Shokran sono tra questi, e ciò mi fa immensamente piacere. Nati dalla mente pensante del chitarrista Dmitry Demyanenko, si sono gradualmente evoluti dall’idea iniziale di one man band sino a divenire un gruppo a tutti gli effetti, che ha all’attivo un EP, il full length di debutto “Supreme Truth” uscito nel 2014 e ora questo “Exodus”, un disco che sembra ricalcare a tutti gli effetti la narrazione biblica di cui si fregia sin dal titolo (nonostante la scheda in mio possesso sia piuttosto scarna, i titoli dei pezzi parlano da soli). Il passaggio tra i due album sembra segnare una decisa evoluzione per gli Shokran, che affinano ancor più la loro formula sui dieci pezzi qui presenti, pur senza abbandonare le caratteristiche portanti del precedente disco, che risiedono sostanzialmente nella sopraffina tecnica chitarristica dell’axeman russo. 
Dopo l’evocativa “Blood” posta all’inizio, tocca subito a “Creatures From The Mud” dispiegare le armi affilate degli Shokran; a parte le solite incursioni nei lidi cari a James Maynard Keenan da parte del singer Andrew Ivashchenko, la band ci mostra sin da questo pezzo come l’epicità della materia sia conferibile anche senza attaccarsi ai soliti cliché del power/epic, ma anzi giocando sull’alternanza delle voci e soprattutto su un livello tecnico così alto da far impallidire gran parte della concorrenza di genere. Citare i singoli pezzi è quasi un esercizio lezioso, perché il disco va assaporato in toto, comunque sia gli highlights dello stesso sono le decise bordate di “The Swarm”, la carica melodica di “Living Arrows” che si fa quasi “cinematografica” su “And Heavens Began To Fall” (la materia aiuta, in effetti…), nonché la passione per l’Oriente che emerge su “Praise The Stench”, un episodio le cui partiture sono ornate da un deciso piglio malmsteeniano che non stona affatto con il resto. Se state pensando alla sacralità armonica di gente come Orphaned Land o System Of A Down, la conclusiva “Firstborn” è pane per i vostri denti, oltre a rappresentare uno dei picchi espressivi di Ivashchenko. 
Intendiamoci, non professerò sin d’ora assoluta fedeltà al genere (episodi come “Disfigured Hand”, pur ben suonati e arrangiati, mi ricordano come il troppo sia troppo), ma un disco come “Exodus” ha valore intrinseco, al di là dei generi. In altre parole, fatelo vostro!

Recensione a cura di: schwarzfranz 
Voto: 85/100 
Tracklist:
01. Blood (Intro)
02. Creatures From The Mud
03. The Swarm
04. Living Arrows
05. Praise The Stench (..Of Your Fallen Idols)
06. Disfigured Hand (Feat. Patrick Somoulay)
07. And Heavens Began To Fall (Feat. Lauren Babic)
08. The Storm And The Ruler
09. Revival Of Darkness
10. Firstborn

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