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DEATH "The Sound Of Perseverance” (Recensione)



Full-length, Nuclear Blast Records
(1998)


Anno di grazia 1998, Chuck Schuldiner, dopo aver nuovamente rivoluzionato la formazione dei suoi Death, fa uscire il successore dell'acclamato “Symbolic", e ottiene un altro, meritatissimo stuolo di consensi. Ma la reale portata di questo disco, come capita sempre per le pietre miliari, diverrà palese solo tempo dopo, anche a causa dei ben noti tragici eventi che faranno di “The sound of perseverance” il canto del cigno del gruppo floridiano. 
A livello compositivo le differenze con il predecessore non sono poi così marcate, c’è un approccio ancora più vicino al metal classico e al progressive, del resto già in nuce sul terzo disco; ma è il suono a fare la differenza: la voce di Chuck è meno spettrale, riverberata, più stridula ma anche più nitida, tanto da risultare totalmente intellegibile, e tutto suona più potente e moderno, tanto che è il disco dei Death che ha retto meglio gli anni e per questo viene continuamente riscoperto dai giovani appassionati; si pensi inoltre che pur essendo l’album più melodico e con la velocità media più bassa di tutta la loro discografia, è coinvolgente e devastante dall'inizio alla fine. 

Una furiosa scarica di batteria in doppia cassa ad opera di Richard Christy – qua al debutto coi Death e alle prese col disco della vita, esattamente come Shannon Hamm alla seconda chitarra solista e Scott Clendenin al basso – apre “Scavenger of human sorrow" che potrebbe essere il pezzo più death metal del lotto; al terzo minuto però la musica si ferma e un giro di basso introduce gli assoli di chitarra: è un espediente che troveremo altre volte lungo il disco e la cosa incredibile è che questi rallentamenti non tolgono tiro alle canzoni, ma anzi, donano respiro e ne aumentano lo spessore. “Bite the pain" è più vicina al metal classico, mentre “Spirit crusher" è il singolo e gode del ritornello più melodico della storia dei Death, dal sapore Metallica. “Story to tell” è il vero capolavoro del disco: il testo, le melodie, la struttura sono quanto di più struggente abbia mai partorito Chuck Schuldiner. “Flesh and the power it holds" è un altro pezzo molto vicino al metal classico ma al contempo estremo nel suo incedere apocalittico, mentre la semiacustica “Voice of the soul" è una dimostrazione di onnipotenza del chitarrista americano, ma anche un intermezzo di inarrivabile delicatezza. “To forgive is to suffer" è epicissima e “Moment of clarity" una delle prime composizioni pensate per i Control Denied e poi finita qua. 

Chiude il disco “Painkiller" dei Judas Priest, cover amatissima in grado di competere con l'originale ma che non può che risultare il pezzo meno interessante di un disco stupendo, epocale, maestoso, anche grazie ai meravigliosi testi di Chuck, profondi, filosofici, esistenzialisti, di una poetica difficile da trovare su altri dischi metal. 

Recensione a cura di Alessandro Attori
Voto: 100/100 

Tracklist:
1. Scavenger of Human Sorrow 06:54
2. Bite the Pain 04:30 
3. Spirit Crusher 06:45 
4. Story to Tell 06:34 
5. Flesh and the Power It Holds 08:26 
6. Voice of the Soul 03:43 instrumental
7. To Forgive Is to Suffer 05:55 
8. A Moment of Clarity 07:23 
9. Painkiller (Judas Priest cover) 06:03

DURATA TOTALE: 56:13

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