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MALIST "Karst Relict" (Recensione)


Full-length, Northern Silence Productions 
(2021) 

Nell'ultimo decennio o poco più il versante orientale dell'Europa, rappresentato prevalentemente dall'area sovietica, si è ritagliato una posizione di tutto rispetto nel panorama black metal, riuscendo nell'intento di partorire una proposta molto personale e particolare che unisse alla violenza del genere un'aura malinconica e tragica alquanto sognante, in un connubio di metal estremo e di post-rock atmosferico orientato a dare forma ad orizzonti musicali e lirici assolutamente coinvolgenti. È il caso del progetto moscovita che risponde al nome di Malist, nato nel 2017 per volontà del suo unico membro Ovfrost, giunto al suo terzo album in studio in altrettanti anni dal titolo "Karst Relict", ultimo capitolo della trilogia dedicata al diabolico regno dell'omonimo tiranno. La trama fantastica su cui si basano i tre lavori del progetto narra di un Reame situato in profondissime cave al di sotto della superficie terrestre, in stanze sotterranee costituite da oscure valli ed immense pianure, governato dal malvagio re Karst che tiene segregati con l'inganno i suoi sudditi, tenendoli all'oscuro dell'esistenza di un mondo superiore al di fuori del regno. Protagonista della saga è un eroe senza nome che sfida il malvagio tiranno e rivela al popolo ciò che si cela oltre i confini della cava, ove essi avevano vissuto in un tempo di cui non hanno più memoria, pagando tale affronto con la morte; la sua uccisione per mano di Karst provoca un cataclisma che distrugge l'intero Reame, cancellandolo dalla faccia della Terra. La saga di Karst altro non è che una metafora degli angoli più oscuri e profondi dell'umana coscienza, ove risiedono le emozioni più intense e i segreti più intimi a cui non è permesso raggiungere l'esterno e rivelarsi al mondo, poichè il loro sconfinamento partorirebbe il caos dell'anima e la fine dell'equilibrio psico-emotivo. La musica di Malist intende pertanto veicolare le sensazioni più occulte dell'ascoltatore e trascinarle oltre la sfera cosciente, al di fuori di quella buia cava che è sede dell'inconscio, e le sue melodie post-rock dai contorni drammatici, unite alla furia di un black metal ricco di sublimi atmosfere surreali, riescono perfettamente nell'intento.

"Karst Relict", nei suoi quarantacinque minuti di durata, rappresenta un viaggio spirituale negli abissi incontaminati dell'essere, carico di rabbia repressa e di struggente malinconia, fuse in una miscellanea di suoni caldi e freddi, di armonie dolci e graffianti, che delineano un sound travolgente e maestoso, ricco di superba epicità; il pregevole artwork, firmato da Taya Rostovtseva, presenta un panorama apocalittico quasi lovecraftiano, pieno di simboli arcani e di onirico orrore, cupo tanto nei colori quanto nella diabolica essenza predominante che ne definisce gli infernali contorni. Le sessioni di batteria sono realizzate da Daniel Oplachk mentre i testi originari, successivamente tradotti in russo da Ovfrost, sono di Archais. L'apertura della release è affidata alla lunga "Remaining Light", introdotta da una delicata sezione acustica dai contorni malinconici che partorisce un assolo melodico e struggente, in un crescendo di intensità ed atmosfera fino alla ferocia di un mid-tempo guidato da un riffing tagliente e dalla pesantezza della batteria di Oplachk, su cui piomba lo scream lacerante di Ovfrost; il brano si accende con la veemenza del blast beat centrale, accompagnato da tastiere sognanti ad anticipare un finale epico e maestoso dalle chitarre atmosferiche e dal growl profondo ed abissale, avvolto in un'aura tragica e malinconica che si esaurisce in una cupa melodia di pianoforte. Più melodica e ragionata è "Satellite", brano in cui compare un intrigante duetto tra scream e clean e in cui le chitarre graffiano con armonie gelide e lugubri ai confini col doom, mentre con la successiva "Timeless Torch" si raggiungono vette epiche insormontabili: un arpeggio malinconico anticipa la ferocia di un blast beat atmosferico e dello scream di Ovfrost, che rallenta in un superbo e memorabile refrain di rara tragicità divenendo poi un catacombale growl, prima di un maestoso crescendo dalle eco atmosferiche chiuso un pregevole passaggio thrash/death.

L'episodio più drammatico dell'album è però rappresentato da "A Way Through Limbo", aperta da uno struggente arpeggio acustico a cui seguono una batteria lenta e lo scream disperato di Ovfrost, tramutato dopo un passaggio di pianoforte in un caldo e sognante cantato in clean; un assolo melodico e coinvolgente in crescendo anticipa una ripresa finale di superba epicità. L'album continua a produrre inebriante bellezza e travolgente drammacità con la meravigliosa "Lifeless Ease of Nonbeing", un crescendo atmosferico dalla tragica lentezza delle chitarre iniziali al riffing gelido e incalzante che apre la sezione epica e maestosa della parte centrale, prima di sprigionare la sua furia in un blast beat tragico e atmosferico e nello struggente epilogo acustico in post-rock. "Chthonic Trinity" risale dal lento mid-tempo iniziale dalle gelide chitarre atmosferiche all'aggressività centrale fino ad un finale epico e trionfale guidato da un delicato pianoforte e dalla incalzante batteria di Oplachk, mentre lo struggente post-rock della strumentale "Descent Into Ruin" anticipa il tragico finale di "Between the Worlds", il cui malinconico black/doom atmosferico, esasperato dal cantato lancinante di Ovfrost e da un brillante assolo melodico, si apre ad un finale orchestrale di travolgente maestosità, a concludere il viaggio nell'Universo immaginario del regno di Karst e nelle profondità inesplorate dell'anima, ove soggiornano le emozioni più segrete della psiche umana, gelosamente custodite laddove i cuori degli altri non giungono. 

Recensione a cura di Alessandro Pineschi. 
Voto: 88/100

Tracklist:
1. Remaining Light 
2. Satellite 
3. Timeless Torch 
4. A Way Through Limbo 
5. Lifeless Ease of Nonbeing 
6. Chthonic Trinity 
7. Descent into Ruin 
8. Between the Worlds

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