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DYRNWYN "Il culto del fuoco" (Recensione)


Full-length, Cult of Parthenope 
(2021) 

Paganesimo e mitologia romana, le tradizioni popolari degli anni d'oro dell'Impero e le sanguinose battaglie che hanno scritto la storia della città eterna costituiscono il cuore pulsante delle liriche dei romani Dyrnwyn, band epic folk metal dalle influenze estreme che ha da poco rilasciato il suo secondo album in studio, dal titolo "Il culto del fuoco", sotto l'etichetta napoletana Cult of Parthenope. Il progetto prende il nome dall'omonima spada magica della mitologia gallese, dal significato di "Bianca Elsa", in grado di divampare in un'impetuosa fiamma una volta sguainata e probabilmente all'origine del mito della più nota Excalibur; il sound del sestetto formato nel 2012 dal chitarrista Alessandro Mancini, dal bassista Ivan Cenerini, dal batterista Ivan Coppola (Ulfhednar) e che vede alla tastiere e all'arpa celtica Michelangelo Iacovella, ai quali si sono poi aggiunti il cantante Thierry Vaccher e il secondo chitarrista Alberto Marinucci, ha preso forma effettiva con l'uscita dell'album di debutto "Sic Transit Gloria Mundi" del 2018, definendosi nei suoi tratti tradizionali e folkeggianti che perfettamente si fondono con incursioni black/death metal cariche di melodia e di epicità. "Il culto del fuoco", cantato interamente in italiano e mixato da Riccardo Studer (Theatres del Vampires, Adversam), è strutturato su sette tracce di medio-lunga durata comprensive di outro per un totale di quasi cinquanta minuti di acustic folk, metal estremo e viking metal arricchiti da passaggi atmosferici di tastiera e da un riffing melodico e incalzante che lega efficaciemente ogni sfumatura musicale del lavoro, donandogli un'essenza unica e personale. 

L'album è aperto dalla maestosa title-track, ispirata all'antico culto del "fuoco sacro" della tradizione romana, un focolare acceso all'interno del tempio cittadino dedicato alla dea Vesta, figlia di Saturno, che veniva mantenuto vivo dalle sacerdotesse vestali affinchè favorisse la protezione del nucleo familiare. Il brano si evolve dall'intensa epicità iniziale fino a un'accelerazione guidata dalla forsenneata batteria di Coppola, che sfocia in un passaggio death/thrash dalle eco folk su cui si erge il cantato graffiante di Thierry, che si fa in seguito trionfale e maestoso; le chitarre taglienti di Mancini e Marinucci si fondono brillantemente con le tastiere di Iacovella, rendendo l'atmosfera epica prima della sfuriata che anticipa il finale. "Aurea aetas" (espressione latina che significa "età dell'oro") si riferisce all'antica leggenda della mitica epoca della prosperità e dell'abbondanza in cui gli antenati dell'uomo moderno vivevano in totale armonia, senza leggi, senza guerre nè rigidi inverni; un folk tradizionale introduce una strofa thrashy dai richiami folk, in un crescendo maestoso in cui lo scream di Thierry diviene un cupo growl e anticipa un delizioso passaggio folk con arpeggio acustico, prima di un'accelerazione black metal su cui si ergono cori epici e riff melodici, che assumono nel finale un'essenza trionfale ancor più marcata. L'atmosfera dell'album cambia nettamente con "Triumpe", introdotta da uno struggente folk caratterizzato da una voce recitata e dalla delicata arpa di Iacovella, che esplode poi in un'accelerazione dal riffing serrato e dai toni epici; un passaggio viking metal antipa un finale rabbioso dalle eco folk in cui egregiamente si fondono la violenza della batteria e delle chitarre e le armonie delle tastiere, accompagnate da un cantanto tragico di rara epicità.

"Le forche caudine" narra dell'omonima battaglia della seconda guerra sannitica del 321 a.C. in cui l'esercito romano cadde sconfitto per mano dei Sanniti di Gaio Ponzio, subendo l'atroce umiliazione del passaggio sotto i gioghi in uno degli episodi più nefasti della storia romana; le tastiere di Iacovella inaugurano il brano aprendosi al riffing serrato dei due chitarristi, dai contorni alternative, che sfocia in una brutale accelerazione dai richiami folk, prima di un delicato intermezzo acustico che anticipa l'epica ripresa finale. Il lavoro si avvia verso la fine con la bellissima "Sentinum", ispirata all'omonima antica città romana situata nei pressi dell'attuale Sassoferrato (AN), teatro della battaglia delle Nazioni in cui i Romani sconfissero i Galli Senoni e i Sanniti; il brano si apre con cori epici dai richiami viking che sfociano nella maestosa sfuriata centrale, prima di un intermezzo in folk acustico con un parlato rauco e un crescendo di tastiere trionfali, ad anticipare l'accelerazione finale. 

In chiusura troviamo l'outro "Armilustrium", dedicata alla festività in onore del dio della guerra Marte in cui le armi dei soldati venivano purificate in vista del riposo invernale; il folk atmosferico del pezzo, trionfale e maestoso, nel suo cresendo epico e malinconico accompagna l'album verso la fine, terminando l'inno all'antica Roma di cui i Dyrnwyn si fanno cavalieri, raccontando con liriche cariche di tradizione e melodie popolari la gloria della capitale e del suo maestoso Impero, traccia indelebile della storia del mondo e di un passato di cui ancora si conserva intatta la memoria.

Alessandro Pineschi
Voto: 78/100

Tracklist:
1. Il culto del fuoco 
2. Aurea aetas
3. Vae victis 
4. Triumpe 
5. Le forche caudine 
6. Leucesie 
7. Sentinum 
8. Armilustrium

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