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FUNERAL MIST "Deiform" (Recensione)


Full-length, Norma Evangelium Diaboli 
(2021) 

L'inverno scandinavo schiude i suoi orizzonti innevati ed i boschi gelati dinanzi al ritorno di uno dei suoi più gloriosi combattenti, testimone ormai quasi trentennale di quelli che furono i fasti del black metal nordico, la cui violenza nel corso degli anni mai si è assopita e che tende al contrario a rigenerarsi con foga crescente e diabolica perserveranza. Il nome è di quelli che non hanno bisogno di presentazioni: Daniel Hans Johan Rostén, alias Arioch, ma molti lo conoscono con lo pseudonimo Mortuus in qualità cantante dei celeberrimi Marduk; il nativo di Stoccolma, fondatore e da quasi vent'anni unico esponente dei Funeral Mist, ha rilasciato in chiusura di 2021 l'atteso quarto album in studio del suo storico progetto formato nel lontano 1993, dal titolo "Deiform". L'album, uscito sotto l'etichetta francese Norma Evangelium Diaboli, giunge a tre anni di distanza dal suo predecessore "Hekatomb" e segna un'altra pagina infernale della trama di sangue e blasfemia della creazione del cantante e polistrumentista svedese, qui accompagnato alla batteria da Lars Broddesson, a completare una ristretta line-up che si fa nuovamente artefice di un'opera di violenza sonora pregna di misticismo e di occultisimo, volta a disseminare terrore e autentica devastazione. 

"Deiform" si compone di sette inni blasfemi per un totale di cinquantaquattro minuti di durata, che si aprono con l'introduzione in coro liturgico degli oltre nove minuti e mezzo di "Twilight of the Flesh", a donare sin da subito al lavoro un'essenza esoterica e oscura che prosegue in una litania black/doom metal dalla ritmica funerea e dai toni epici: è solo la quiete prima della tempesta, che collassa dinanzi alla ferocia del blast-beat di Lars e al riffing affilato di Arioch, che scaglia il suo scream malefico addosso all'ascoltatore prima di adoperarsi in una serie di melodie di chitarra gelide e atmosferiche, che sfociano nel finale in armonie lente e lugubri prima della ripresa corale. "Apokalyptikon", è assai più breve e incisiva, sparata a velocità folgoranti che sfiorano il death e si colorano di disturbanti note industrial, mentre sopra un wall of sound caotico e infernale esplode il growl mostruoso e alieno del mastermind; la successiva "In Here" è probabilmente il brano più riuscito dell'album, caratterizzato dalla veemenza del blast-beat e da un riffing tagliente e aggressivo che raggiunge talvolta armonie epiche, tra le urla infernali di Rostén che anticipano un finale melodico rallentato, prima di un'ipnotica outro ambient che sembra destare dal loro sonno presenze malvagie preumane, sottoforma di divinità di antichi tempi di orrore e di violenza. La track-list dell'album viene divisa a metà dalla coraggiosa "Children of the Urn", aperta da un coro di bambini e caratterizzata da sezioni in slow-tempo e da un riffing lugubre e ipnotico tra un'accelerazione e l'altra, fino ad un improbabile finale folkeggiante abbastanza orecchiabile; si torna sul sicuro con l'aggressività mai doma di "Hooks of Hunger", la cui ferocia ricorda i Marduk di "Panzer Division" senza neanche avvicinarsi qualitativamente allo stesso livello. Il lavoro si rigenera con gli oltre nove minuti della title-track, brano lento e ipnotico e dallo scream sofferto che incanta l'ascoltatore conducendolo nel suo tetro abisso, tra riffing disturbanti e melodie funeree in cui Arioch si prodiga in un recitato fortemente esoterico, preannunciando le armonie sinistre del finale. La conclusiva "Into Ashes" illude con una introduzione che prosegue l'atmosfera lenta e cupa precedente per poi esplodere nella ferocia inaudita della batteria di Lars e nel riffing serrato di Rostén, che scaglia con furia cieca la sua rabbia addosso all'ascoltatore, avvolgendolo nella tela del suoi riff gelidi e atmosferici fino alla fine della sua opera diabolica.

"Deiform" è l'ennesima espressione del potenziale di Arioch anche in veste di polistrumentista e compositore, che prosegue il suo duplice percorso parallelo con le release dei Marduk senza risparmiarsi; non molti spunti interessanti offre tuttavia questo suo nuovo lavoro da solista, se non la conferma della sua capacità di sfornare nonostante gli anni un black metal spietato e regressivo che non intende evolversi nè decelerare di fronte all'età che avanza e ai mutamenti del mercato. Le chitarre stridono, duettando molto bene con la ferocia della batteria di Broddesson e sfiorando spesso l'epicità, rallentando talvolta fino a suonare lugubri e tetri come funerei rintocchi di campane; nulla comunque di nuovo, nulla che non abbiamo già sentito negli ultimi venticinque anni di metal estremo, ma almeno questo lavoro rappresenta l'ennesima conferma che il black metal, quello buono e diabolico di matrice scandinava, non ha la minima intenzione di eclissarsi o di adagiarsi su lidi più contenuti e rassicuranti, prendendosi gioco del tempo che passa e continuando anno dopo anno a macinare diabolica ferocia sonora. 

Recensore: Alessandro Pineschi
Voto: 78/100

Tracklist:
1. Twilight of the Flesh
2. Apokalyptikon 
3. In Here 
4. Children of the Urn 
5. Hooks of Hunger 
6. Deiform 
7. Into Ashes

Line-up:
Daniel Rostén - Bass, Vocals, Guitars, Songwriting, Lyrics

Web:
Bandcamp
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